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Renzi come Achille

5 Dicembre 2016 855 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Le ultime indiscrezioni parlano di un Renzi fermamente deciso a dimettersi non solo da presidente del Consiglio, ma anche da segretario del Pd, abbandonando, transitoriamente o definitivamente, la politica italiana. Si tratterebbe di una decisione assolutamente coerente con le sue parole e i suoi solenni impegni. La mia opinione è che voglia imitare lo sdegnato e doloroso addio alla battaglia di Achille dopo la morte di Patroclo. E che, una volta ritiratosi nella tenda di Pontassieve, sfileranno carovane di fedeli che lo imploreranno di tornare. Tatticamente la scelta di Renzi, come quella di Achille, si rivelerà azzeccata. Intanto però, tra vittime, tende rifugio e coerenze personali, c’è un paese da governare e anche un partito da guidare in questo difficile labirinto post referendario.

Renzi si rifugia in uno sdegnato isolamento. Ma dopo il suo “non possum” che succederà? Già nel suo passo d’addio, celebrato subito dopo le prime infauste proiezioni, Renzi aveva accennato al fatto che spettava ai vincitori del no lanciare una proposta di una nuova governabilità, sapendo che il fronte avverso è talmente disomogeneo che nessun governo e nemmeno alcuna legge elettorale comune potranno mai essere partoriti. Se il doppio annunciato addio di Renzi si trasformerà in un “tanto peggio, tanto meglio”, in una sorta di indifferenza sugli equilibri politici futuri, in una malevola attesa su chi verrà dopo di lui, allora sarà un fatto negativo per il paese. Un passo da uomo forte e coerente, ma non da statista di primo piano.

Il presidente della Repubblica ha dinnanzi a sé due strade. O affidare la guida del governo a una personalità delle istituzioni (Grasso) per approvare la legge di bilancio, probabilmente da correggere dopo gli appunti di Bruxelles, per riscrivere una legge elettorale (ma guarda te, finalmente i grillini si sono accorti che l’Italicum è l’ideale per loro) e poi andare al voto a Primavera. Oppure affidare l’incarico a un politico che tenti di rimettere insieme una coalizione in grado di tentare di arrivare alla scadenza ordinaria, sia esso Padoan o un altro. Non vorrei che lo sdegnato rifiuto renziano producesse la peggiore delle ipotesi e cioè favorisse la nascita di un governo di brevissimo periodo col rischio, quasi certo, di perdere le elezioni. A volte per l’interesse generale si deve sacrificare l’orgoglio personale. Renzi ne sarà capace?

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