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Cosa resta di Renzi e cosa no

Quando un leader politico perde la discesa é rapidissima e più complicata la risalita. Non era così ai tempi della cosiddetta prima repubblica. Nenni rimase in minoranza solo un anno dopo il disastro del Fronte popolare del 18 aprile del 1948 e nel 1949 si riprese la segreteria al congresso di Firenze. Andreotti fu, nel giro di meno di vent’anni, protagonista di tutte le svolte di governo: quella di centrodestra del 1972, quella dell’unità popolare col Pci del 1976, quella del pentapartito e dell’asse col Psi del 1989. Ed ogni volta che calava il sipario si annunciava la sua eclissi. Cossiga, che nel 1978 si dimise da ministro degli Interni dopo l’assassinio di Moro, nel 1980 fu presidente del Consiglio e nel 1985 della Repubblica.

All’estero non é quasi mai stato così. Fa eccezione la Francia dove Mitterand fu eletto presidente nel 1981 dopo essere stato sconfitto nelle precedenti presidenziali da Giscard. Per il resto Blair é tramontato anche a causa della guerra in Irak, Schroeder dopo la vittoria della Cdu in Germania, Zapatero dopo il successo di Rajoy in Spagna, mentre Sarkozy non é riuscito a rinascere dopo la sconfitta subita da Hollande. Generalmente i premier sconfitti si ritirano anche dalla guida dei loro partiti. Perché, in quanto tali, diventano automaticamente candidati alle elezioni successive, anche se solo in Francia l’elezione del presidente è diretta.

In Italia non è cosi. Berlusconi ha vinto e perso due volte ed é ancora leader indiscusso del suo partito. Prodi ha vinto due volte, e ha avuto il tempo di ritornare dopo la sconfitta di Rutelli. Amato é l’unico caso di un presidente del Consiglio che abbia ricoperto il ruolo prima e dopo il 1994. Renzi, contrariamente agli altri tre, é anche più giovane e ha dunque più tempo per poter ritornare protagonista. Secondo il mio parere farebbe un errore a concepire il suo ritorno già in occasione delle prossime elezioni, soprattutto se saranno anticipate. Occorre un po’ di mesi, forse qualche anno, per sedimentare la sconfitta, per approfondirne i motivi, per correggere gli errori, per presentarsi con rinnovata credibilità.

Oggi più che mai è necessario capire infatti cosa modificare. Altrimenti la recente sconfitta non sarà l’ultima. Salverei di Renzi il suo carattere anti dogmatico, quel suo dissacrare alcuni tabù della sinistra che lo hanno fatto non dissimile da quel che abbiamo fatto noi negli anni ottanta, quel suo procedere per riforme anche costituzionali, tutt’altro che perfette e convincenti, soprattutto perché non sufficientemente sostenute, quel suo decisionismo che ben conosciamo non come un difetto, quel netto superamento del carattere post comunista (ma non post democristiano) del suo partito, quel suo cavalcare alcune innovazioni, come il Jobs act e la buona scuola, che pur con contraddizioni e revisioni necessarie, sono a mio giudizio buone leggi.

Non convince più, invece, quel suo carattere positivo e ottimista ai limiti dell’irreale, del fantasmagorico, del burlesco, il suo linguaggio da sms e da curva sud, il suo mito della rottamazione e del giovanilismo che poi si annulla nella dimensione della fedeltà, il suo circondarsi di vecchi compagni di scuola (il Giglio magico) o di suoi vecchi amici di corrente ai quali la pillola della rottamazione non viene prescritta. Non convince affatto un approccio costituito da mance e spese a pioggia, dagli ottanta euro all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, che hanno impedito il concentrarsi di una somma alta di risorse sugli investimenti per far crescere il Pil e abbassare il suo rapporto col debito, quel suo cincischiare su spending review e tasse abbassate, assieme ad aliquote aumentate.

Quel che dovrebbe risorgere, se mai risorgerà, è un Renzi due, capace di comporre una squadra di governo con politici e tecnici di grande qualità ed esperienza, con una strategia fondata sulla ripresa economica (anche quest’anno lo chiudiamo sotto l’1 per cento di crescita, un dato inferiore a tutti gli altri paesi europei, con un limitato aumento dell’occupazione, ma dicono dovuto in larga parte all’uso e all’abuso dei vaucher). Lasci perdere per il domani la politica pirotecnica degli annunci, dei provvedimenti parziali, a volte anche elettorali, si presenti come uomo nuovo al servizio dello sviluppo, mite, serio, sofferente se é il caso, e non perda di vista le riforme costituzionali, magari facendo propria la proposta dell’elezione di un’assemblea costituente. Sarà capace Renzi di questa trasformazione? Sarà molto difficile. Di un uomo puoi cambiare tutto tranne il carattere. Non chieda aiuto a un costosissimo guru americano. Lo lasci ai democratici Usa per le loro sconfitte. Accetti buoni consigli da chi la politica la conosce. E un po’ anche l’Italia. Chissà…