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Quando penso a Mario Soares

11 Gennaio 2017 1.118 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Poco dopo il nostro Lelio Lagorio, il Granduca socialista che dedicò la sua vita agli ideali autonomisti e riformisti e fu seguace di Pietro Nenni e di Bettino Craxi, se n’é andato, anche lui ultranovantenne, Mario Soares, leader dei socialisti portoghesi. Non potrò mai dimenticare la rivoluzione dei garofani del 1974 che anticipò di un anno l’analogo sovvertimento della dittatura in Spagna. Soares era molto grato ai socialisti italiani, come il suo omologo spagnolo Felipe Gonzales, per la solidarietà, anche tangibilmente verificabile, che gli era stata manifestata. Il 1974 era un anno speciale anche in Italia. Nel maggio si affermò lo spirito laico del Paese col referendum che sconfisse nettamente l’integralismo antidivorzista. Noi, giovani socialisti, eravamo in prima fila ad appoggiare gli ideali liberali e riformisti incarnati nella figura di Loris Fortuna.

Quando esplose la rivoluzione democratica portoghese per iniziativa dell’ala progressista delle forze armate, palpitammo per un tentativo di colpo di stato appoggiato dal partito comunista di Cunhal. Eravamo orgogliosi del comportamento dei socialisti portoghesi, alfieri della libertà, e in questo sostanzialmente diversi dai comunisti filosovietici. Avevamo bisogno di ispirarci all’esistenza di un movimento socialista europeo anche dopo la sconfitta del 1976, quando pareva che in Italia nulla si potesse costruire al di fuori di un Partito comunista berligueriano che era uscito dalla urne col suo massimo storico. Così quando Craxi, col Midas, divenne segretario, il primo approdo politico lo cercammo proprio nell’eurosocialismo. Ricordo diverse iniziative, una a Milano, una Venezia, ma ce ne furono altre, coi leader del socialismo europeo. Tra loro Mario Soares, oltre a Felipe Gonzales, Willy Brandt e Francois Mitterand.

Quel che risultava chiaro a noi, ma doveva esserlo a tutti, era l’anomalia della sinistra italiana, dove la componente socialista era minoritaria rispetto alla presenza del più forte Partito comunista d’Occidente, che si era ormai distinto dal comunismo reale, ma che fino alla seconda metà degli anni settanta veniva da questo stesso sorretto e finanziato. Ci si appigliò a un eurocomunismo inesistente, coi comunisti francesi di Marchais e quelli portoghesi che si mantenevano su posizioni apertamente anti liberali. Soares fu due volte primo ministro, dal 1976 al 1978 e dal 1983 al 1985, due volte presidente della Repubblica (dieci anni al vertice fra il 1986 e il 1996), ministro degli Esteri e ministro senza portafoglio nel primo governo dopo la liberazione

Soares, che era tornato in Portogallo il 28 aprile, tre giorni dopo la fuga dell’ultimo dittatore, Marcelo Caetano, ha guidato la transizione dall’esilio in Francia. In clandestinità ha fondato il Partito socialista che ha guidato con capacità, equilibrio e passione. Nei rapporti sempre positivi, instaurati già durante l’esilio, coi socialisti italiani, va in particolare ricordata la sincera amicizia che egli mostrò sempre nei confronti di Bettino Craxi. Ricordo una sua visita ad Hammamet quando Craxi, colpito da provvedimenti giudiziari, era considerato da molti un intoccabile. Sfidò anche la moda del giustizialismo per essere vicino a un amico al quale doveva qualche pubblico riconoscimento. Anche per questo coraggio, anche per questa coerenza noi oggi lo ricordiamo e lo onoriamo come merita.

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