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Ricordo Bettino

19 Gennaio 2017 751 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Lo ricordo quando era ancora vice segretario del Psi a nome della componente autonomista, che al congresso di Genova del 1972 aveva conquistato meno del quindici per cento, anche se Pietro Nenni di lì a poco accetterà di tornare alla presidenza, a tre anni dal suo ritiro dalla politica attiva, dovuto alla scissione del luglio 1969. Non avevo accettato di militare, allora, in qualche corrente che quella scissione aveva favorito e mi ritrovai così tra i pochi giovani autonomisti, con Ugo Finetti, Claudio Martelli, Gianluigi Da Rold, Nino Nastasi, che nella federazione giovanile costituivano un gruppo assai ristretto. Craxi sembrava un gigante rassicurante. Portava idee chiare, era coerente e quando parlava ti dava il senso dell’istinto di ribellione a qualsiasi sottomissione politica.

Ero al Raphael, nel luglio del 1976, quando iniziò il nuovo corso e, grazie a Giacomo Mancini e all’alleanza con i giovani della sinistra e demartiniani, Craxi fu segretario del partito dopo l’insuccesso elettorale del 1976. Doveva durare poco, secondo i suoi grandi e piccoli elettori. Avevano fatto male i loro conti. Si circondò di persone capaci e di cultura, lanciò l’eurosocialismo, sviluppò una polemica sulla inconciliabilità del comunismo col pluralismo e anche grazie a Mondoperaio il partito si ritrovò in una primavera culturale, sviluppando i temi del riformismo socialista sanciti poi dal congresso di Palermo, dopo che Craxi aveva per primo lanciato il progetto della grande riforma delle istituzioni anche grazie al prezioso contributo di Giuliano Amato, mentre grazie a quello di Claudio Martelli, nella Conferenza di Rimini del 1982, il Psi si trovò avvinto dai “meriti e bisogni”.

Craxi trovò un Psi sconfitto e subalterno al Pci berligueriano. Spezzò la dannosa fermezza durante il caso Moro e a gomitate si fece largo, dopo il 1979, promettendo governabilità. Iniziò la sua avventura alla presidenza del Consiglio dopo un buon risultato elettorale nel 1983, anche se inferiore alle attese. E da presidente diede impulso alla lotta all’inflazione che passò, anche grazie al decreto di San Valentino, dal 16 al 4,6 per cento, vincendo il referendum che il Pci volle imporre nel 1985. Durante quegli anni venne sconfitto il terrorismo politico nazionale che aveva insanguinato l’Italia. Il governo Craxi accettò i missili a Comiso, ma fu lui a contestare concretamente gli americani a Sigonella, dopo la vicenda dell’Achille Lauro. Non toccò pensioni e sanità e il rapporto tra debito e Pil si mantenne attorno all’84 per cento (oggi è al 133).

Venne il risultato del 1987 e fu un 14,3 per cento, il migliore del Psi, dopo quello alla Costituente. Poi un ripiegamento fino al 1992 e in quei tre anni cambiò il mondo, l’Europa, l’Italia, con la caduta del muro, la fine del comunismo e del Pci. Bettino, forse per la malattia che lo tormentava (ebbe un infarto, dovuto al diabete, proprio nel dicembre del 1989) e per una tormentata vicenda personale, non ebbe la lucidità per intuire che una fase della politica si era conclusa e con essa era al tramonto anche la partitocrazia, coi suoi generalizzati finanziamenti illegali.

Quando venne chiamato in causa, però, ritrovò il vecchio ardore e ancora oggi risuonano alle nostre orecchie le parole pronunciate alla Camera che chiamavano alla responsabilità collettiva. Una giustizia strabica e politicizzata lo ha condannato perché, contrariamente a tutti gli altri leader, “non poteva non sapere”. Scelse di abbandonare l’Italia e di rifugiarsi in Tunisia. Avrà fatto la scelta giusta? Recita Brecht nel suo Galileo: “Infelice l’umanità che ha bisogno di eroi”. Ha scelto di essere operato in Tunisia, perché non poteva accettare di tornare in Italia se non da uomo libero. Dopo la sua morte il governo italiano gli propose funerali di Stato nella più penosa ipocrisia di Stato. Dopo molti anni si fa largo la tendenza a una rivalutazione postuma. Oggi il ministro degli Esteri Alfano sarà nella sua Hammamet. Son trascorsi quasi 23 anni, e un bilancio di questa seconda Repubblica mai nata é desolante. L’Italia è anche vittima della grande ipocrisia sulla quale ha fondato il suo falso rinnovamento. La storia tratterà alla fine meglio Craxi dei suoi carnefici, dei finti dottori di un tempo che oggi paiono sempre più parte della malattia. Noi oggi lo ricordiamo, son passati 17 anni, con commozione immutata, forte rimpianto, stima e riconoscimento per quel che ha dato all’Italia e al Psi. Un contributo originale, denso di fierezza per il suo Paese, per il suo partito.

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