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Pd spaccato, Renzi a un bivio

21 Febbraio 2017 931 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Abbiamo scritto che la scissione era meglio della confusione e del conflitto permanente in un partito senza identità. Il Pd nacque come soggetto a vocazione maggioritaria per il passaggio dal bipolarismo al bipartitismo, con un occhio all’America più che all’Europa, e per sfidare con possibilità di vittoria il centro-destra che Berlusconi aveva riunito nel nuovo Pdl. Se riflettiamo bene oggi son venute a mancare tutte le motivazioni dell’esistenza di quel Pd, incollatura di due tradizioni storiche, quella comunista e quella democristiana, che ovunque in Europa si fronteggiavano contrapposte.

Il bipolarismo non solo non si è trasformato in bipartitismo, ma ha ceduto il campo al tripolarismo con l’affermazione dei Cinque stelle, la vocazione maggioritaria, riproposta, dopo Veltroni, nella nuova versione di Renzi, si é frantumata ad un tempo negli scogli anministrativi-referendari e nella bocciatura costituzionale del ballottaggio, mentre dall’altra parte il Pdl da tempo non esiste più e il centro destra é quanto mai disarticolato in una tendenza berlusconiana non ostile al dialogo col Pd, sia pur post elettorale, e in una destra alternativa di stampo anti europeo. Per di più il mito democratico americano é stato sopraffatto dal trumpismo. Dunque che quel Pd sia oggi finito e che una parte di oppositori di Renzi abbiano deciso di farsi il loro partito appare perfino logico.

Quel che stupisce sono piuttosto le motivazioni e le conseguenze politiche della scissione. Il più intelligente degli scissionisti, Massimo D’Alema, ha sgombrato il campo dalla commedia degli equivoci, dichiarando che la separazione è il risultato di visioni differenti e che un partito non é un carcere. Più astruso l’arrampicarsi sugli specchi tra date, congressi, conferenze programmatiche che hanno contraddistinto la posizione di Bersani, Speranza, Rossi e dell’altalenante Emiliano, una sorta di personaggio pirandelliano che recita a seconda del pubblico in teatro. Dichiarare che non si partecipa a un congresso perché non si ha voglia di cambiare politica, equivale ad enunciare il riconoscimento della propria sconfitta. Sostenere che l’attuale segretario non si deve ricandidare, equivale a dichiararlo invincibile.

Ma quel che stupisce é l’immediata conseguenza politica del nuovo partito. E cioè il convinto sostegno al governo Gentiloni, che é governo del Pd renziano. Questo finirà per costituire fonte di divisione con l’altra parte di sinistra presente in Parlamento, almeno con la maggioranza di Sinistra italiana. Nel contempo il nuovo partito dichiara di collocarsi nel centro-sinistra, dunque ancora collegato al partito abbandonato. Si tratta di curiosa anomalia con la storia delle scissioni. Una sorta di separazione-collaborazione di difficile comprensione. Il trait d’union potrebbe essere Pisapia, l’uomo che vuol spostare un pezzo di sinistra verso il Pd. Ma ci sono almeno due complicazioni.

Attualmente la legge elettorale contempla il premio alla lista e non le coalizioni. Con il premio alla lista tutto apparentemente si semplifica. Ognuno andrà per conto suo e le coalizioni eventuali si formeranno dopo il voto. Risulterà tuttavia molto difficile far capire agli elettori una collocazione in un centro-sinistra che non c’è e con un Pisapia senza più una missione. Col premio alle coalizioni gli scissionisti dovranno scegliere invece tra il cosiddetto Campo progressiste dell’ex sindaco di Milano, che vuol collocarsi nell’aggregazione di centro-sinistra col Pd renziano, o la maggioranza di Sinistra italiana che correrà in solitario contro Renzi. Quel che stento a comprendere é la perdurante riserva renziana sulle coalizioni. Incomprensibile e suicida. Il Pd da solo non raggiungerà mai il 40 per cento, favorirà i Cinque stelle che sono l’unica forza non coalizzabile, indurrà più facilmente alla convergenza gli scissionisti e le altre forze della sinistra, ucciderà sul nascere il tentativo di Pisapia. Vuoi vedere che adesso Renzi farà anche questo errore?

Quel che é certo é che il Pd del Lingotto e della Leopolda non c’é più. Renzi é a un bivio. O si accontenta di quel che gli é rimasto dopo un congresso in cui uscirà vincente ma non trionfante, con Orlando alleato di Cuperlo, forse ancora con Emiliano tra le costole, con Franceschini che sfoglia la Margherita e Delrio che prende le distanze, oppure si lancia alla ricerca di un altro Pd, quello più logico e conseguente con la collocazione europea. E annuncia la volontà di un pieno recupero della tradizione socialista e democratica italiana, magari anche delle battaglie di libertà del mondo radicale post pannelliano e delle esigenze di difesa e sviluppo armonico del territorio degli ambientalisti. Avrà Renzi la forza di lanciare un nuovo progetto politico o si fermerà al corteggiamento degli ex comunisti rimasti tra i quali svetta quello Sposetti, amministratore del patrimonio degli ex Diesse, senza il quale il Pd sarebbe costretto a tornare in piazza, esattamente come vorrebbe D’Alema?

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