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Socialisti e comunisti: la storia all’opposto

27 Febbraio 2017 946 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

La storia all’opposto

Sembra che in Italia il muro di Berlino sia caduto all’incontrario. Anziché travolgere i comunisti, che pure nel novembre del 1989 decisero di cambiare nome, ha travolto i socialisti, che non ebbero l’avvertenza di comprendere che l’ottantanove italiano riguardava anche loro. Cosí anche nel giudizio sul passato un partito, che si é poi più volte rifondato e unificato fino a diventare Pd, ha salvato non già la tradizione socialista democratica che ha avuto ragione nella storia, ma la tradizione comunista che ha avuto torto. Nelle pareti delle sezioni del Pd campeggiano (e figurarsi adesso in quelle degli scissionisti) i ritratti di Gramsci, di Berlinguer, di Nilde Iotti e in qualcuna anche quello di Togliatti. Qua e là inframmezzate dai volti di Moro e di La Pira per accontentare gli ex democristiani. Può anche essere che in taluni casi sia esposta una foto di Pertini, ricordato più come presidente degli italiani e come antifascista, che come socialista. Un’intera storia, quella che partendo da Turati arriva a Saragat, a Nenni, a Craxi, viene oggi ignorata o almeno offuscata. Spero che non si insegni questo a scuola. Che non si riprenda quel che ho ascoltato durante il recente referendum costituzionale, e cioè che nel 1946-48 la Costituzione fu una mirabile sintesi delle posizioni democristiane e comuniste, quando invece alla Costituente eletta il 2 giugno del 1946 i socialisti, col 20,6%, superavano i comunisti, fermi al 18,9%. Oppure che non si avvalli la tesi secondo la quale le uniche forze che combatterono il fascismo furono quella comunista e quella cattolica, come si é detto in tanti, troppi 25 aprile, dimenticando le brigate Matteotti, le nobili e tragiche figure di Rosselli, Buozzi e Colorni, il Centro interno di Morandi, il partito in esilio di Nenni, Tasca, Silone e Saragat. E negando ancora la verità della storia.

L’errore della scissione del 1921

Se nonostante tutto continuo a occuparmi di politica é per combattere questa deformazione. Per ribaltare questa errata convinzione. Lo faccio con ricerche, libri e dirigendo l’Avanti in versione online. Si tratta della più vergognosa e inaccettabile ingiustizia subita da un popolo e da un’ideale. Dunque diamo una veloce scorsa a questa storia italiana, a questo conflitto a sinistra che diede un esito nel 1989, poi addirittura clamorosamente capovolto. Partiamo dal duro scontro del 1921 che a Livorno partorì la scissione voluta da Mosca e riconosciamo che questa non fu dovuta all’adesione al boscevismo, che unificò il Psi già al congresso di Bologna nel 1919, con l’eccezione dei riformisti, ma alla supina accettazione da parte dei “comunisti puri” dei 21 punti di Mosca, tra i quali il cambio del nome da socialista a comunista e l’espulsione dei riformisti. Il Pcdi che si formò aveva intenzione di impiantare i soviet in Italia, di instaurare un regime simile a quello sovietico. Si proclamò la rivoluzione fino a che non arrivò il fascismo.

La posizione di Turati e la teoria del socialfascismo

Chi aveva ragione nel 1921-22 tra i riformisti e i comunisti? Umberto Terracini avrà l’onestà di riconoscere che aveva ragione Turati. Fu Turati, col suo mirabile discorso del 1920 “Rifare l’Italia”, a immaginare un governo progressista (con le elezioni del 1919 socialisti e popolari detenevano la maggioranza assoluta alla Camera). I massimalisti e i comunisti si opposero ovviamente a qualsiasi collaborazione e contaminazione. Così in Italia si aprirono le porte al fascismo, che i comunisti non consideravano un nemico peggiore del liberalismo. Addirittura, fino all’avvento di Hitler in Germania, nel 1933, i comunisti, sull’onda di una parola d’ordine lanciata dal Comintern, considerarono i socialisti “l’ala di sinistra della fascistizzazione” (teoria del socialfascismo).

I socialisti condannarono i processi di Mosca del 1938 e il patto Ribbetrop-Molotov del 1939. I comunisti no

Mosca, e quindi i comunisti italiani, seppero ravvedersi lanciando la politica dei fronti popolari. Ma ebbe o no ragione Nenni a condannare i processi di Mosca del 1938, al contrario di quel che fece Ercoli, cioé Togliatti, mentre il Psi di Tasca e Saragat seppe condannare Stalin dopo l’accordo nazista-sovietico del 1939 sulla divisione della Polonia e l’aggregazione all’Urss delle repubbliche baltiche, il patto Ribbentrop-Molotov, coi comunisti appiattiti sulle direttive impartite da Mosca, con l’unica eccezione di Terracini. Fino all’operazione Barbarossa del giugno del 1941 i comunisti consideravano equidistanti le parti in conflitto, cioè la democrazia e il nazi fascismo. Poi la svolta dopo l’invasione dell’Urss da parte degli eserciti tedeschi. Se questa non fosse avvenuta i comunisti avrebbero combattuto il nazifascismo? Domanda lecita. Certo la storia non la si fa coi se. Resta il fatto che il comportamento comunista, che diverrà anche eroico durante la resistenza, fu alquanto ambiguo tra l’agosto del 1939 e il giugno del 1941.

Il socialismo umanitario di Saragat contro il filo sovietismo di Togliatti

Già abbiamo approfondito il conflitto politico tra Saragat e Togliatti, con Nenni e il Psi ancora filo comunisti. Oggi tutti più o meno, eccetto Bertinotti, ammettono che Saragat aveva ragione nel 1946 a contrapporsi al comunismo sovietico, allo stalinismo di cui era ancora imbevuta la maggior parte della sinistra italiana. Certo il suo Psli, poi Psdi, dovette fare i conti con la governabilità e il rapporto di collaborazione con la Dc fece perdere al partito il suo smalto autonomistico iniziale e quell’eresia libertaria che gli avevano dato i giovani di Iniziativa socialista. Resta il fatto che ispirarsi all’umanesimo socialista, vedasi una figura come Mondolfo, e non al leninismo, per di più in versione staliniana, fu giusto, opportuno, preveggente. Su questo non c’é discussione. Ma solo oggi.

Nenni e la condanna dell’invasione sovietica all’Ungheria del 1956 che Togliatti approvò

Quando, a seguito del XX congresso del Pcus e delle clamorose rivelazioni di Kruscev sui crimini di Stalin, Nenni prese le distanze da Togliatti e mise il dito sulla piaga affermando che il problema non era l’uomo, ma il sistema, e quando poi, nell’autunno, ancora Nenni condannò l’invasione sovietica in Ungheria, mentre Togliatti e il Pci furono dalla parte dei carri armati, la ragione da che parte stava? Anche su questo i post comunisti, decine d’anni dopo, ammettono l’errore e sostengono che aveva ragione Nenni. Allora però il Pci mise sotto sorveglianza politica un dirigente sindacale come Di Vittorio e costrinse Giolitti a rompere e assieme a molti uomini di cultura ad aderire al Psi, allora peraltro segnato da una lotta interna con la sinistra filo comunista, sorretta dal Pci e finanziata da Mosca, sinistra che nel 1964 darà vita a un nuovo partito, il Psiup, indebolendo così il primo governo di centro-sinistra e il processo di riunificazione socialista.

Quando il Psi diede vita al centro-sinistra il Pci si oppose

Quando, dopo i drammatici fatti del luglio del 1960, il Psi di Nenni, per appoggiare la formazione di un esecutivo alternativo alla destra, favorì, con un’astensione, la nascita del governo Fanfani, quello cosiddetto delle convergenze parallele, e poi del primo governo di centro-sinistra, ancora presieduto da Fanfani, che portò alla scuola media unica e alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, ma anche al piano casa e alla riforma agraria, il Pci iniziò un’opera tesa “a mietere nell’orto del vicino”, e quando si formò il primo governo organico di centro-sinistra, con la partecipazione diretta del Psi al governo presieduto da Moro e con Nenni alla vice presidenza, i comunisti appoggiarono direttamente la scissione del Psiup. Il centro-sinistra che ha portato all’Italia riforme strutturali, come lo statuto dei lavoratori, le regioni, l’abolizione della mezzadria, la riforma sanitaria con l’istituzione del servizio nazionale gratuito, ha avuto nel Pci, assieme alle destre, un avversario strenuo e spesso prevenuto.

Il Psi in prima fila sui diritti civili negli anni settanta, il Pci preoccupato

Quando in Italia si aprì la grande stagione delle lotte per i diritti civili, a cominciare da quella per il divorzio, i socialisti, assieme ai radicali, nonostante il condizionamento politico dovuto alla collaborazione di governo con la Dc, furono in prima fila. E’ a Loris Fortuna e al liberale Baslini che si deve la legge suo divorzio, mentre i comunisti si attardavano in preoccupazioni di retroguardia sul ruolo dei cattolici. Ricordiamo l’iniziativa della senatrice Carrettoni per evitare il referendum, poi vinto dalla cultura e dalla intransigenza laica. E quando, ancora Loris Fortuna, dopo le lotte radicali e socialiste, presentò la legge sull’aborto, ricordo bene le preoccupazioni comuniste, allora condite con la strategia del compromesso storico e i governi Andreotti. Poi il referendum vinto, con ancora più margine di quello sul divorzio, ha fatto piazza pulita di tante incertezze.

Berlinguer per il compromesso storico, il Psi per un’alternativa socialista europea

E quando il Pci lanciò il compromesso storico sostenendo, dopo il colpo di stato in Cile del settembre 1973, che col 51 per cento non si può governare i socialisti italiani risposero che col 51 per cento le forze socialiste democratiche governavano in mezza Europa e che la cosa che complicava la situazione della sinistra italiana era proprio la presenza del più forte partito comunista d’Occidente. Quando il Psi di Craxi intensificò i suoi rapporti coi partiti dell’eurosocialismo il Pci di Berlinguer oppose l’eurocomunismo, il comunismo mediterraneo ove, se si eccettuano lo stesso Berlinguer e il partito spagnolo di Santiago Carillo, non esistevano partiti comunisti autonomi da Mosca. Così Berlinguer fu costretto a elaborare la fumosa terza via, mettendo sullo stesso piano comunismo e socialdemocrazia e inventando un’isola che non c’é.

Il Psi per la salvezza di Moro, il Pci per la fermezza

Quando venne rapito Aldo Moro, nel marzo del 1978, si misurarono due posizioni. Quella del Pci di Berlinguer e della Dc di Zaccagnini e Andreotti era per l’intransigenza assoluta ben sapendo che in quel modo si sarebbe sacrificata la vita dell’ostaggio, invece quella del Psi, ma anche di Saragat, metteva al primo posto la necessità di salvare l’uomo. La verità é che la linea dell’intransigenza si abbinò alla più assoluta inefficienza degli apparati dello stato e troppe incongruenze assurde, involontarie o meno esse siano state, portarono all’uccisione del presidente della Dc, proprio l’uomo che aveva aperto la strada alla politica di unità nazionale. Questo forse per far dimenticare che per troppi anni si era lasciato prosperare quella propensione alla violenza nella sinistra italiana, giustificandola nell’immediato dopoguerra e considerandola, negli anni settanta, un appannaggio esclusivo della destra.

Il Pci contro il governo Craxi e per il referendum sulla scala mobile del 1985

Quando il Psi di Craxi, nel 1978, volle approfondire l’inconciliabilità del leninismo col pluralismo il Pci rispose sostenendo che si tentava una caricatura del comunismo, e quando nel 1979 si lanciò la grande riforma delle istituzioni il Pci parlò di iniziativa sovrastrutturale. Il Pci bloccò nel 1978 l’elezione di Giolitti alla presidenza della Repubblica perché ex comunista, votò a favore di Pertini, ma assunse una posizione di estrema rigidità politica quando il presidente socialista Pertini diede il mandato di formare il governo al segretario del Psi. Il segretario del Pci definirà quello di Craxi un “governo pericoloso”. Così quando il governo varò il piano anti inflazione, che in cambio del taglio di pochi punti di scala mobile avrebbe consentito un maggior recupero della capacità d’acquisto dei lavoratori, abbattendo il tasso inflattivo, Berlinguer scatenò il finimondo e con l’appoggio di una sola componente politica del sindacato chiese e ottenne il referendum abrogativo, che il Pci perse clamorosamente nel 1985, un anno dopo la morte del suo leader.

Dopo l’89 Craxi propose l’unità socialista, Occhetto di “andare oltre”

Quando i socialisti, nel novembre del 1989, dopo la fine dei regimi comunisti e la caduta del muro di Berlino, proposero al Pci, e poi al nuovo partito che ne é derivato, l’unità socialista, il segretario del partito Achille Occhetto contrappose la sua proposta di andare oltre il socialismo democratico europeo. Al rifiuto dell’unità socialista si deve anche giustapporre la tendenza di Craxi a considerarla solo una prospettiva d’avvenire e di non rompere i rapporti con la Dc, sia in previsione di un ritorno alla presidenza del Consiglio dopo il 1992, sia per il timore che sarebbe stato il nuovo partito ad appoggiare ancora Andreotti, il quale già aveva elaborato la sua singolare teoria dei “due forni”. Resta il fatto che solo in Italia, dopo il 1989, gli ex comunisti non rientrarono nell’alveo socialista, come sarebbe stato giusto e logico, ma iniziarono un anomalo cammino che li avrebbe poi portati ad un connubbio con gli ex democristiani.

Il Psi appoggia l’intervento Onu in Iraq, il nuovo Pds si oppone, poi il governo D’Alema interviene con la Nato in Serbia

Nel gennaio del 1991 il Parlamento italiano approvò l’invio di una missione italiana nell’ambito del contingente Onu per la liberazione del Kuwait occupato dalle truppe irachene. Il Pds si oppose e organizzò manifestazioni pacifiste in mezza Italia. Anche i socialisti europei non potevano opporsi all’Onu e in prima fila si espose la Francia di Mitterand. Poi, durante i due anni del governo D’Alema, il partito, allora Diesse, approvò l’invio di aerei per bombardare la Serbia, anche se la missione non venne ammessa e disposta dall’Onu, ma solo dalla Nato.

Psi e Pds di fronte a Mani pulite.

L’avvento di Tangentopoli venne salutato dai post comunisti come un’opportunità
politica. Lo scrive D’Alema che ammette che Mani pulite aprì il varco della gola in cui stava Craxi e la sua unità socialista. I post comunisti ebbero così la possibilità di sviluppare il loro percorso dall’identità comunista a quella socialista europea, senza l’intralcio e la cattiva coscienza del Psi. La fine del Psi, nel periodo 1992-94, che costituisce il risultato anche di errori politici di Craxi e del gruppo dirigente socialista nell’esame del post 1989, di valutazioni sbagliate sul rapporto tra politica e cittadini, il cui primo effetto fu l’affermazione nel nord della Lega, di sottovalutazioni, leggerezze e gravi correità sul finanziamento alla politica, segnò tuttavia l’inizio dello stravolgimento della storia. Pare che assieme alla fine del Psi sia finita anche la tradizione socialista. Quasi per pagare il prezzo non già dei suoi errori, ma delle sue ragioni. Anche sul giustizialismo, sull’uso del carcere per motivi di confessione, sull’ingerenza della magistratura nella politica, sul mito di Di Pietro, il partito che derivava dal Pci ha ammesso i suoi sbagli. Come quasi su tutto. Sempre in ritardo. Resta il fatto chi ha sbagliato, rivedendosi anni dopo, pare abbia vinto il suo conflitto nella storia con chi ha avuto ragione prima. Che quest’ultima sia stata considerata agli occhi degli italiani non una gran virtù è chiaro, purtroppo. Peccato che ci sia ancora qualcuno che non si rassegna, convinto che tra qualche tempo anche questo “arrivare sempre dopo” venga considerato un errore.

Mauro Del Bue

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