Il congresso, il Pd e il pugno della Rosa
Quello di Roma s’é rivelato un congresso importante. Non solo per la partecipazione di quasi settecento delegati giunti a spese loro da tutta Italia, non solo per la qualità degli interventi. Ma soprattutto per alcune direzioni di marcia che ha aperto. Se il congresso ha segnalato la dolorosa separazione di alcuni compagni che hanno deciso di intraprendere altre strade, ha altresì permesso di individuare un possibile cammino comune con i compagni radicali e verdi, coi quali, non solo con loro, il Psi si é impegnato a promuovere a giugno, a Milano, una conferenza programmatica per lanciare un messaggio al Paese.
Emma Bonino ha rilanciato l’alleanza della Rosa nel pugno, a suo giudizio troppo presto abbandonata, mentre Giovanni Negri con la sua Marianna già da tempo lavora allo stesso progetto con Maurizio Turco. Tutti e tre sono stati nostri graditi ospiti, hanno dato un contributo politico assieme a Benedetto Della Vedova in questa direzione. Gradito anche l’intervento di Scotto, di Dp, che ha però suggerito un percorso diverso legato a una sorta di Union de la gauche. Fabrizio Cicchitto, reduce dalla trasformazione del Nuovo centro destra in Alternativa popolare, ha annunciato da parte sua la presentazione di una lista autonoma dei centristi, aperta anche ai laici e ai riformisti per sbarrare la strada ai populisti e autonoma dal Pd, alle prese con le sue profonde contraddizioni interne.
Quello che mancato é stato il contributo del Pd, alle prese con una scissione e con una profonda lacerazione interna provocata da primarie ad altissima tensione. Il Pd pare oggi un partito allo sbando, senza una linea politica, senza una proposta di legge elettorale, senza un leader accreditato. La sua assenza é derivata forse dalla sua incapacità di promuovere un’interlocuzione. Mentre la legge elettorale pareva un’emergenza assoluta fino a qualche settimana fa, l’orientamento a sostenere il governo Gentiloni fino a fine legislatura pare aver raffreddato anche l’esigenza di iniziare un confronto concreto in materia.
Il Pd é passato così dal Mattarellum al’Italicum senza ballottaggio e col premio di lista, superando anche l’orientamento favorevole al premio di coalizione, mentre un autorevole esponente della santissima Trinità, Orlando, parla oggi di un premio di governabilità alla lista prima classificata anche sotto il 40 per cento. Una sostanziale e inutile panzana. Non servirebbe per raggiungere la maggioranza assoluta e per di più umilierebbe le altre liste, anche quelle potenzialmente alleate. Vedremo cosa uscirà dal cilindro di questi prestigiatori. Al di là di noi, restano inquietanti interrogativi sul futuro dell’Italia, con un centro destra egemonizzato dalla destra populista di Salvini e Meloni, da grillini che si mostrano incapaci di governare una città e figurarsi domani un intero paese, da una sinistra frammentata e divisa in schegge.
Se il Pd capisse che si é esaurita definitivamente la sua spinta propulsiva, come si disse un tempo della rivoluzione d’ottobre, e trovasse la forza per lanciare una vera alleanza riformista, se riuscisse a guardare oltre il proprio naso, se considerasse se stesso, anche con un altro nome, come la casa di storie e di anime diverse nell’ambito di una comune adesione ai principi del socialismo europeo qualcosa potrebbe cambiare. Tutti i segnali, anche il suo silenzio al nostro congresso, si muovono in altra direzione. Perfino la cancellazione tout court dei voucher testimonia che questo partito ha solo problemi di autotutela. Non perdere ancora un referendum pare più importante che difendere gli interessi del paese. Dobbiamo cercare, allargando la nostra area e superando le nostre barriere identitarie, di farglielo capire. Con le buone o col pugno della Rosa…
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