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Da il Resto del Carlino. Le crepe di Reggio. L’ex Opg: un luogo triste e vuoto nel cuore della città

Un grido. Quasi da luogo di tortura. Qualcuno ha parlato di lager. Non per responsabilità del personale e di un direttore che ha dedicato la sua vita alla struttura invocando aiuto, spesso inascoltato. Ma che in uno spazio in pieno centro storico della civilissima Reggio fosse collocato un manicomio criminale, dove la malattia era stoltamente coniugata non con la sua cura, ma con il reato compiuto, e dove dunque tutto aveva l’apparenza di un carcere della peggior specie, mi sembrò sempre un crudele paradosso. Ricordo di avere dedicato all’argomento una delle mie prime interpellanze quando, giovanissimo, entrai in Sala del tricolore alla metà degli anni settanta. Da allora di acqua sotto i ponti del Crostolo, che scorreva fino al Trecento proprio lungo il corso che diverrà poi della Ghiara (da ghiaia, del vecchio torrente, appunto) ne é passata parecchia e l’immobile del vecchio manicomio criminale, poi ospedale psichiatrico giudiziario, é oggi vuoto. Dal 1991 l’Opg é stato trasferito in via Settembrini, ma nel maggio dello scorso anno anche gli ultimi due detenuti di via Settembrini sono stati dimessi e la struttura é tornata sotto l’autorità penitenziaria, a seguito della legge che sopprime questi istituti in Italia. L’immobile di via dei Servi (durante la guerra divenuto sede di internamento per motivi politici e anche luogo tristemente famoso per la tortura) é tenuto in condizioni disastrate, coi suoi bellissimi cortili utili solo come provvisorio parcheggio di dirigenti e autorità durante le partite di basket della nostra Grissin Bon. Anche il recente ampliamento del palasport mette in mostra il degrado dello stabile ex Opg e contestualmente il retro, coperto di scritte e scrostato, della magnifica basilica della Ghiara, fondata tra le fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento per celebrare il miracolo del sordomuto Marchino che dicono (da crederci é più complicato) che riprese a parlare davanti all’immagine della Madonna. Servirebbe un miracolo anche oggi. Forse anche per far parlare questo immobile che ha conosciuto sofferenze, disperazione, suicidi, sempre puntualmente denunciati da don Daniele Simonazzi, il generoso, instancabile cappellano del carcere e dell’Opg. E nel contempo per far parlare un cantiere che riconsegni alla città uno spazio inutilizzato e desolatamente trascurato. Ma andiamo indietro nel tempo. L’ ex casa di custodia del Manicomio Giudiziario (poi ex Opg, ma non giochiamo con le parole) deriva dal vecchio Convento dei Padri Lazzariti o Missionari, realizzato nella seconda metà del XVII secolo, ricostruito poi nel 1751 su progetto dell’architetto Giambattista Cattani detto “Cavallari”, che nell’occasione chiuse la parte occidentale dell’odierna via Franchi incorporandola nella costruzione. Nel 1796 il convento fu soppresso, inserito nel Demanio, quindi dapprima adibito a carcere poi in Manicomio criminale. Non dobbiamo dimenticare che alla periferia della città sorse nel settecento il manicomio San Lazzaro, edificato già nel duecento come lebbrosario. Dicono che per questo Reggio sia stata definita “la città dei matti”. Se aggiungiamo che a fine Novecento la nostra città divenne “la capitale della danza”, potremmo anche desumere che da noi manchi il culto della parola. Meglio la follia, magari abbinata ai gesti, non importa se teatrali. Questo immobile si presenta come un grande complesso con una planimetria ad “U”, chiuso su se stesso e cinto da mura con un cortile interno. E’ costituito da diversi corpi di fabbrica occupati un tempo dai dormitori, celle, laboratori, uffici, refettori, cucine e locali per la guardia carceraria. A questo si aggiungono i quattro padiglioni, costruiti nei primi decenni del Novecento, nella parte di ponente dell’area verso il controviale di Viale Timavo, via del Portone e via dei Servi. Acquistato nel 2001 dalla Provincia di Reggio Emilia, la parte principale del complesso è da tempo in stato di completo abbandono. Si tratta di una superficie utile ed accessori pari a 11.965 mq. sotto vincolo di tutela del Ministero per i beni e le attività culturali. Dal 2001 la Provincia ha ipotizzato diverse soluzioni, una di queste relativa alla spostamento della sua sede da Palazzo Allende. Nel 2004 é stato anche lanciato un bando, vinto ancora (come quello della piazza “anonima” della Vittoria e dello stesso palasport) dalla Cooperativa architetti. Nessuno sa che fine abbia fatto. Cestinato forse. Resta il fatto che la Provincia, dopo il tiramolla della sua eliminazione, é alle prese con una evidente crisi di finanziamento. Per questo ha giustamente deciso di alienare questo robusto edificio. In fondo un gruppo di privati potrebbe, con un’adeguata e concordata variante urbanistica, commerciale-residenziale, riconsegnare alla città un luogo ancora blindato, come le vecchie porte di un carcere per malati mentali. Bisogna però rendersi conto che la partita deve avere margini di remunerazione. Non solo proclamare l’ingresso dei privati, ma sollecitarlo, stimolarlo, agevolarlo. Non siamo in epoca di privatizzazioni? Avanti, allora, sindaco e presidente. Creatività e relazioni possono non solo sostituire le risorse pubbliche, ma addirittura incrementarle. Pubblico e privato non sono in contraddizione come reato e malattia…