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Tamburrano, lo storico socialista

Si è spento Giuseppe Tamburrano, assieme a Gaetano Arfë lo storico socialista per antonomasia. Contrariamente ad Arfé, che abbandonò il Psi nel 1987 accettando un seggio da indipendente nelle liste del Pci, Tamburrano non ha mai lasciato il suo partito, nemmeno dopo la sue fine. I ricordi sono molteplici e si perdono nei primissimi anni della mia militanza socialista, quando Tamburrano scriveva uno dei suoi libri più famosi “Storia e cronaca del centro-sinistra” e, membro del Comitato centrale dopo la scissione del 1969, venne a far visita prima del congresso di Genova del 1972, alla federazione di Reggio Emilia. Avevo letto attentamente i suoi articoli assieme a quelli di Giuseppe Faravelli, il discepolo di Filippo Turati, sulla vecchia Critica sociale.

La mia inclinazione per la storia, anche se frequentavo la facoltà di Filosofia all’Università di Bologna, mi portò naturalmente ad avvicinarmi a lui che, dopo la morte di Pietro Nenni, iniziò la pubblicazione dei suoi diari e presiedette poi la fondazione a lui dedicata. Tamburranno, nel 1981, dopo il congresso di Palermo, entrò nella Direzione nazionale del Psi per la corrente riformista e assunse l’incarico di responsabile del dipartimento culturale. Professore univeritario, giornalista, storico, Giuseppe non era uno di quegli intellettuali che amavano stare tra loro e frequentare i soliti circoli. Lui prediligeva la vita di partito, partecipava ai congressi nella sua sezione, parlava e scriveva per farsi capire. Anche dai più umili.

In questo era fedele discepolo di Pietro Nenni e della sua parola immagine, della frase breve che segnava un complesso ragionamento. Della predilezione per lo slogan che condensava una politica. Più in particolare fornisco la memoria di tre ricordi abbastanza recenti. Il primo si riferisce all’Assemblea nazionale del novembre del 1992, quando, dopo il mio intervento a presentazione della mozione Martelli, mi confidò che la figlia di Pietro Nenni, Giuliana, aveva deciso di votare per noi. Fu una soddisfazione enorme. Il secondo si riferisce, nel corso della cosiddetta rivoluzione giudiziaria, a un nostro colloquio, nel quale disperatamente, ma anche con l’ottimismo della volontà, dichiarò che lui sarebbe andato ugualmente nella sua sezione a confrontarsi coi compagni. Il terzo, il più recente, quando mi telefonò per ringraziarmi delle diverse citazioni che gli avevo riservato nei miei tre volumi sulla storia del socialismo reggiano. Mi confessò con una punta di sincera amarezza: “Quando si invecchia si diventa inevitabilmente un po’ narcisisti”.

Tamburranno, in pochi lo sanno, era socialista di famiglia. Il padre Luigi era stato senatore socialista. Giuseppe era nato a San Giovanni Rotondo nel 1929 e la sua militanza socialista inizia a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta, poi si affina con lo studio e l’impegno storico e giornalistico. Da ricordare, tra gli altri, il volume su Antonio Gramsci (Milano 1977), Intervista sul socialismo italiano, a Pietro Nenni (Bari 1977), Pietro Nenni (Bari 1986), Processo a Craxi (Torino 1993), poi il suo stupendo Processo a Silone e Il caso Silone, in cui Tamburrano contestava le tesi accusatorie dello storico Canali sulla presunta collaborazione dello scrittore socialista abruzzese con l’Ovra. Naturalmente non possono essere dimenticati i tre volumi dei diari di Nenni (sul quarto avemmo modo di parlarne a lungo, e preferisco tacere). Inutile la retorica. Posso solo scrivere che quando ci lascia una personalità come quella di Giuseppe Tamburrano resta viva più che mai la sua memoria attraverso le migliaia e migliaia di pagine che la sua intelligente creatività ci ha saputo regalare. E queste non moriranno mai.