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E la Cgil rompe sulle pensioni

Consideriamo questo sciopero, o “grande mobilitazione” come é stata definita, che la Cgil, rompendo l’unità sindacale, ha annunciato contro la posizione del governo sulle pensioni. Gentiloni in ottemperanza alla legge Dini del 1995 deve rivedere il tetto dell’età pensionabile in base all’aumento della durata di vita. Calcoli alla mano scatterebbe a 67 anni nel 2019. Sono per la prima volta state inserite le cosiddette categorie usuranti che da 13, dopo la trattativa, son diventate 15. Inoltre il governo ha introdotto il limite di tre mesi di aumento dell’età pensionabile anche se l’aumento della vita fosse più lungo. Poi c’è l’estensione della cosiddetta Ape social (l’uscita anticipata dal lavoro senza oneri) e l’istituzione di un fondo per inserire risparmi di spesa atti a finanziare la stabilizzazione della stessa Ape social. E anche l’istituzione di una commissione di esperti per calcolare in modo obiettivo l’aumento della durata di vita e il rapporto con l’aumento dell’età pensionabile. Non basta.

Sarà mobilitazione per il 2 dicembre. Ancora sulle pensioni, ma invocando, questa la contraddizione, la mancanza di seri provvedimenti per i giovani e le donne. Da stropicciarsi gli occhi. Si discute di aumento dell’età pensionabile e si rompe sui giovani e le donne. Avesse proposto la Camusso una specie di patto tra le generazioni, accettando qualche sacrificio in più per gli anziani in cambio di qualche vantaggio per i giovani, saremmo stati d’accordo. No. O tutto o niente. Mi é capitato l’altra sera di ascoltare le parole di ragazzi che rimproveravano la Camusso di occuparsi dell’aumento dell’età pensionabile e non di loro, che il lavoro non ce l’hanno e che vedono dispiegarsi dinnanzi una vita di insicurezze e di precarietà. Vuoi che la Camusso abbia fatto tesoro di questi rimproveri?

La verità è che se mobilitazione ci sarà non sarà una massiccia aggregazione di giovani e donne, ma di pensionati che protestano, legittimamente, per l’aumento dell’età pensionabile. Grave fu l’errore del governo Prodi, incalzato allora da Rifondazione e dalla Cgil, di eliminare il cosiddetto “scalone” spendendo l’enorme cifra di dieci miliardi di euro. Li avesse investiti per il lavoro e il sostegno ai giovani sarebbe stato meglio. Anche oggi. Se a un anno in più di pensione corrispondesse un impegno più massiccio per il lavoro, noi plaudiremmo. Per adesso ci limitiamo alla solita considerazione sul carattere spesso conservativo di parte del sindacato italiano, che continua, per difendere gli interessi dei suoi aggregati, a vedere, con lenti vecchie, una realtà profondamente trasformata.