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Quando i comunisti denigravano i socialisti. Gli sprezzanti giudizi di Togliatti su Turati, Nenni, Saragat e Tasca

1 Febbraio 2018 1.003 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Che i rapporti tra il Psi e i comunisti, negli anni trenta, fossero ancora tesi e i socialisti ancora equiparati ai fascisti da parte del Comintern è proprio testimoniato dall’articolo che Palmiro Togliatti scrisse dopo la morte di Filippo Turati nell’aprile del 1932 su “ Lo Stato operaio”. “Nella persona e nell’attività di Filippo Turati”, scrive Togliatti, “si sommano tutti gli elementi negativi, tutte le tare, tutti i difetti che sin dalle origini viziarono e corruppero il movimento socialista italiano, che lo condannarono al disastro, al fallimento, alla rovina. Per questo la sua vita può bene essere presa come simbolo e, come un simbolo, anche la sua fine. L’insegna sotto cui questa vita e questa fine possono essere poste è l’insegna del tradimento e del fallimento. Nella teoria Turati fu uno zero. Quel poco di marxismo contraffatto che si trova nei primi anni della Critica sociale non fu dovuto a lui. Dei vecchi capi riformisti egli fu il più lontano dal marxismo, più ancora di Camillo Prampolini (…), fu un retore sentimentale, tinto di scetticismo, e per questo, nelle apparenze, un ribelle (…). Le famose frasi lapidarie di Turati (…) sono dei motti, delle banalità, delle cose senza senso alcuno (…). Organicamente egli era un controrivoluzionario, un nemico aperto della rivoluzione (…). Turati fu tra i più disonesti dei capi riformisti, perché fu tra i più corrotti dal parlamentarismo e dall’opportunismo. Serrati era unitario per uno sciocco sentimentalismo. Turati lo era per astuzia, per calcolo opportunista, allo scopo di potere continuare a penalizzare ogni azione dei rivoluzionari (…). La sua andata al Quirinale avvenne con venti anni di ritardo. La borghesia, per conto della quale egli aveva fatto il poliziotto, il crumiro e predicato viltà, non aveva più altro da dargli che il calcio dell’asino (…). Noi fummo e rimaniamo suoi acerrimi nemici, nemici di tutto ciò che il turatismo è stato, ha fatto, ha rappresentato”.
Togliatti, anche nei confronti di Nenni, non si dimostrò più benevolo e nel maggio del 1933, anche dopo la denuncia da parte del leader socialista del comportamento dei settanta deputati socialdemocratici tedeschi che nella seduta del 17 maggio 1933 avevano votato a favore della politica estera di Hitler, comportamento obiettivamente più grave di quello della socialdemocrazia del 4 agosto del 1914, favorevole al decreto sugli armamenti in vista della prima guerra mondiale, Togliatti volle mostrare il suo pollice verso e questo mentre l’Internazionale comunista iniziava a elaborare la nuova politica dei fronti popolari. Secondo Nenni, nel discorso tenuto al congresso di Marsiglia del 1933, i socialdemocratici tedeschi erano avvinti dal culto del collaborazionismo, che applicavano anche ad Hitler, ma secondo Togliatti “la funzione cui adempie Pietro Nenni con le sue frasi di condanna dei socialdemocratici tedeschi è quella d’ingannare gli operai nascondendo loro ciò che realmente sta accadendo e alimentando la propaganda controrivoluzionaria contro l’Unione dei soviet”. Su Giuseppe Saragat il giudizio era stato ancora più duro, già nel febbraio del 1933. Egli viene definito “un Carneade del movimento operaio italiano, un rigattiere, un truffatore, così come tutti i capi socialdemocratici i quali si muovono sullo stesso binario ideologico su cui si muove il fascismo”. E il mese dopo “Lo Stato operaio” scrive, sull’adesione al Psi di Tasca: “Guidando a grande andatura il plotone socialfascista di testa, a quest’opera si accinge oggi assieme a Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, il rinnegato Angelo Tasca”. Il linguaggio tipico della retorica terzinternazionalista verrà solo in parte modificato dopo l’apertura della fase dei fronti popolari che, sulla base di una precisa direttiva impartita da Mosca, presero piede in Francia e in Spagna, ma anche, sia pur nell’esilio parigino, da parte dei comunisti e socialisti italiani ma si rinfocolò a seguito del patto Ribbentrop-Molotov tra la Germania nazista e l’Urss comunista, che di fatto diede avvio alla seconda guerra mondiale dopo l’invasione e la spartizione della Polonia. Nella fase che intercorre tra il 1939 e il 1941, inizio dell’operazione Barbarossa, cioè dell’attacco di Hitler a Stalin, i rapporti tra comunisti e socialisti tornarono pesanti. Nel Psi Nenni fu messo in minoranza da Tasca Morgari e Saragat che costituirono il nuovo direttorio. Tra socialisti e comunisti il Psi pose una barriera di carattere “morale” e in una riunione del Consiglio nazionale del 1 settembre venne dichiarato decaduto il patto d’unità d’azione. Se Tasca, e con lui Modigliani e Faravelli, avevano da tempo valutato con forti riserve il patto d’unità d’azione coi comunisti, Saragat, che l’aveva invece sempre accettato, a seguito del patto russo-tedesco, passa al fronte degli oppositori di Nenni. Al consiglio nazionale del 27 e 28 aprile del 1940 Nenni venne escluso anche dalla Direzione. Egli era vittima del tradimento dell’Urss. E mentre i comunisti, per giustificare la nuova imprevista svolta dei compagni di Mosca, ritornarono alla vecchia equazione “democrazia uguale a fascismo”, e dunque della indifferenza tra i due sistemi e della conseguente inutilità dei fronti popolari per la lotta antifascista, i socialisti dichiararono cessata ogni collaborazione coi comunisti e “inammissibile la permanenza nel partito di quei compagni che non accettassero questa direttiva”. Anche Nenni si trovava in bilico e non rinunciava all’idea della lotta unitaria del movimento operaio contro il fascismo, a suo giudizio l’unica arma che poteva sconfiggerlo. Rischiò l’espulsione dal suo partito che pare gli sia stata condonata su intercessione di Saragat e di Modigliani, i quali temettero che l’accusa di filo bolscevico gli potesse costare la vita. I comunisti dei vari paesi si uniformarono alle direttive del Comintern che giudicava a quel punto la guerra come “uno scontro tra imperialismi e attribuiva alla Francia e alla Gran Bretagna le maggiori responsabilità nella provocazione del conflitto”, tanto che il governo francese mise fuori legge il Pcf, i suoi parlamentari privati del seggio parlamentare e arrestati in gran numero, e dunque anche all’emigrazione comunista italiana venne interdetto di fatto il lavoro politico in Francia. Unico comunista che prese le distanze dal patto tra Germania nazista e Urss fu Umberto Terracini, che venne politicamente perseguitato e poi espulso dal Partito. In cella per antifascismo dal 1928, poi al confino a Ponza e a Santo Stefano, venne vietato ai compagni di rivolgergli la parola. Rientrerà nel partito solo nel 1943, quando era profugo in Svizzera, senza che la vicenda fosse resa pubblica. Senza critiche e autocritiche.

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