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Embracati?

Il ministro Calenda ha definito i dirigenti dell’azienda di Chieri (Torino) “gentaglia”. Per la verità ha detto “genta…”. Ma conoscendo a perfezione la lingua italiana sapeva che la successione era un “glia”. Riepiloghiamo. Questa azienda produce compressori per frigoriferi ed elettrodomestici e fino alla fine degli anni ottanta era di proprietà della Fiat che ne deteneva la maggioranza azionaria. Poi nei primi anni novanta sono arrivato gli americani e poco dopo i brasiliani della Embraco che hanno portato investimenti e nuove tecnologie e raddoppiato l’occupazione salita fino a 2200 addetti.

Tutto é cambiato con l’apertura della nuova azienda Embraco in Slovacchia. Gradualmente decentrando in quel paese a costi ridotti la produzione, l’occupazione é calata, vertiginosamente, nella fabbrica di Chieri, fino a scendere a 537 dipendenti. Infine la decisione di chiudere e di inviare una lettera di licenziamento a 497 lavoratori. Il ministro Calenda ha chiesto di prendere il tempo necessario per attivare la cassa integrazione e per concludere una trattativa con una nuova unità produttiva che sarebbe interessata a rilevare l’azienda italiana. La risposta é stata negativa col motivo di una perdita di valore in borsa. Il futuro di centinaia di lavoratori e di famiglie conta nulla e può dunque tranquillamente essere giocato in borsa per maggiori profitti.

Il tema é drammaticamente attuale ed é inerente il rapporto tra i diritti dei lavoratori e gli interessi di un’azienda nel mercato globale. E’ evidente che investire in paesi in cui il costo del lavoro é la metà di quello italiano é assai conveniente e nessuno può impedire a un imprenditore un investimento più vantaggioso. Quando però si tratta di un trasferimento che implica la chiusura di un’unità produttiva e il licenziamento dei suoi dipendenti, uno stato, e la stessa Unione europea, non può restare indifferente. Ne va del futuro dei suoi cittadini, del loro diritto al lavoro sancito in Italia dal primo articolo della Costituzione. Calenda ha ragione. Se i proprietari di Embraco alzano le spalle di fronte alle proposte del governo italiano, che il ministro attivi tutte le norme per mostrare una incompatibilità tra l’utilizzo di risorse pubbliche più volte adottate e lo scippo all’Italia di una impresa e convinca l’Europa ad attivare subito un fondo nazionale per gestire le fasi di transizione. Embracare il governo italiano e l’Europa insieme mi pare complicato. Anche se la genta (più “glia”) non sente ragione.