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La foglia di Fico

Nessuno può onestamente pensare che il nuovo presidente della Camera (ed ex “no global”) Roberto Fico riesca nell’intento di formare un governo col Pd. L’intento di Mattarella è chiarissimo. Dopo aver tentato la carta Casellati, per verificare le possibilità di formare un esecutivo del centro-destra unito ai Cinque stelle oppure di un governo tra la sola Lega e i grillini, adesso si sonda la possibilità opposta e cioè quella di formare un governo tra Cinque stelle e Pd. Tutto è possibile, ma dubitiamo fortemente che nel Pd (sarebbero necessari quasi tutti i parlamentari pidini per formare una maggioranza) si apra un concreto spiraglio. I renziani hanno mostrato la più assoluta contrarietà, nonostante le aperture di Emiliano e quelle, parziali, di Orlando e Franceschini.

Quel che è invece (purtroppo) chiaro è questa ambivalenza dei Cinque stelle, che si concreta addirittura in due programmi, uno per il dialogo con la Lega e l’altro per quello col Pd. Nemmeno la vecchia Dc era arrivata a tanta ostentazione di spudoratezza. E poi, sottolineano sempre i figli di Grillo, l’unico loro candidato a presidente del Consiglio, a prescindere da tutte le alleanze politiche e gli incarichi del Quirinale, resta Giggino Di Maio. Il motivo è che così ha deciso il movimento, nonostante questo non goda che di una minoranza di seggi. Dunque a prescindere da tutte le scelte e le necessità istituzionali, quel che decide il movimento, attraverso la rete, è legge. Più o meno come accadeva nel Partito comunista dell’Unione sovietica. Altro che partitocrazia. Qui siamo di fronte a una nuova forma di potere assoluto e indiscutibile dei militanti di un movimento, ai quali soli spetta la designazione di un capo dell’esecutivo a prescindere dal gradimento degli alleati e dalle decisioni che spettano al presidente della Repubblica. Fico è avvertito. Non è lui il prescelto dalla nuova entità divina. Anche se riuscisse nell’intento dovrà passare la mano. Per citare Dante:”Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”

I parlamentari del Pd sono ancora in larga parte renziani? Così si dice, anche se in politica i cambi di casacca nei partiti (Bersani docet) sono all’ordine del giorno dopo le sconfitte e ancor di più quando si profilano nuova opportunità per ciascuno (qui ne vedo due: la possibilità di evitare il ricorso alle urne e quella di accaparrarsi quote di governo e di sotto governo). Quel che non consente di rendere fattiva l’operazione è piuttosto la dura legge dei numeri. Anche contando i pochi seggi di LeU, basterebbero 15-20 parlamentari dissidenti a far saltare il banco. Dopo le dichiarazioni di Orfini e di Marcucci, mi pare che il tentativo di agganciare il Pd provocherà l’ennesima fumata nera. Fico rassegnerà il mandato al capo dello stato e a quel punto si faranno le cose seriamente. Senza foglie, senza Fico, e magari di maggio, più che Di Maio…