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Mattarella e i due

Il capo dello stato non è un notaio. Lo ha ribadito Mattarella nel ricordo di Luigi Einaudi, il primo presidente eletto dell’Italia repubblicana dopo la parentesi di De Nicola. Il presidente ha insistito su quattro concetti chiave cui si ispirò lo stesso Luigi Einaudi, che ristabiliscono le prerogative del Colle sancite dalla Costituzione. E cioè che la nomina del premier spetta al Capo dello Stato, che solo robusti contropoteri possono impedire abusi, che la scelta dei ministri è importantissima, che si batterà contro proposte programmatiche o leggi prive di una solida copertura finanziaria. Non solo. Mattarella ha anche ricordato il modo in cui si comportò Einaudi dopo le elezioni del 1953 quando, dopo la fine dell’età degasperiana e la bocciatura della sua proposta di legge elettorale, la Dc propose alcuni nomi per la presidenza del Consiglio e il capo dello Stato scelse quel Giovanni Pella, considerato alla stregua di un indipendente a tal punto da indurre la stessa Dc a definire il suo come “un governo amico”.

Rino Formica è andato più in là e nel suo lucido e appassionato intervento tenuto alla presentazione della digitalizzazione dell’Avanti ha sottolineato come il presidente della Repubblica avrebbe potuto e forse dovuto rinviare in Parlamento il suo governo “neutrale”, chiedendo alle Camere di dare la fiducia a un governo del presidente. E solo in caso di bocciatura si sarebbe dovuto rivolgere “a quei due”, tuttora impegnati così riservatamente a scegliere un premier terzo, un programma e un assetto dell’esecutivo. Se Einaudi ha scelto il nome del presidente del Consiglio senza ascoltare i suggerimenti della Dc, primo partito italiano dell’epoca, a maggior ragione Mattarella sceglierà il nome del nuovo presidente a cui dare l’incarico di formare il governo, soprattutto se la sua identità, come pare, non sarà legata all’appartenenza a un partito politico, né segnata da un mandato parlamentare.

Stona maledettamente questa ricerca spasmodica di un candidato da sottoporre al Quirinale come se fosse un ordine di scuderia. Non sarà così. Mattarella ha comunicato che si comporterà come Einaudi. E per quanto riguarda i ministri, anche. Già Napolitano, che non gradiva un magistrato (Gratteri) al ministero della Giustizia, costrinse Renzi a un rimpasto preventivo delle deleghe, trasferendo Orlando dall’Ambiente alla Giustizia e Galetti all’Ambiente. Il duo dovrà farsene una ragione. Stare al bar a dividersi il potere riempiendo le varie caselle non servirebbe a molto. C’è il bar del Quirinale che serve caffè meno zuccherati. I ministeri dell’Economia e degli Esteri dovranno essere appannaggio di figure di spessore nazionale, europeo e internazionale. Il duo se ne faccia una ragione. Anche perché fissare dieci punti per ammorbidire l’impatto del reddito di cittadinanza o la flat tax significa poco se non si chiariranno i punti fondamentali della politica estera, interna, economica di un rassemblement confuso e contraddittorio, diviso e poi riunito da un “vi consento” berlusconiano che pare una mancanza di guerra destinata a reggere come quella che derivò dall’armistizio di Cassibile.