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Il governo dei vice

Tutto é bene quel che finisce bene. Oddio. Intanto é da vedere che sia finito bene. Certo, adesso un governo c’è, alla faccia di tutti quelli che avevano alzato grida manzoniane contro il presidente della Repubblica, reo di non volere lasciar governare quelli che avevano “vinto” le elezioni, sia pur da separati, anzi da contrapposti. E aggiungiamo anche che il tormentone Savona é stato risolto al meglio senza un veto alla persona, ma solo al ministero proposto. E anche che i tecnici suggeriti dal Quirinale e accettati senza reazioni alla Savonarola, paiono garantire un discreto equilibrio della compagine governativa, da Tria a Moavero a Bonisoli. Compagine retta dai due vice che daranno gli ordini al presidente del Consiglio. Un unicum nella storia italiana.

Quel che però oggi giudichiamo è solo l’inizio. Anzi, il comunicato di inizio, visto che il via ufficiale avverrà solo dopo la fiducia (scontata) nelle due aule parlamentari. Il governo, verso il quale i socialisti e i democratici tutti non possono che sviluppare un’opposizione ferma e anche preoccupata, si regge su un programma, chiamato alla Rousseau “contratto”, che viene sbandierato come esempio del più radicale cambiamento. E in effetti se verrà realizzato, con un surplus di spesa corrente che si aggirerà attorno ai 120 miliardi di euro, porterà inevitabilmente l’Italia, come pretendevano fino a pochissimi mesi fa gli stessi protagonisti dell’accordo di governo, fuori dalla moneta unica. Si parla della Francia e della Spagna che sono fuoriusciti dal rapporto tra deficit e Pil non superiore al 3 per cento. Ma la Francia e la Spagna, che avevano un debito inferiore al nostro, l’hanno fatto per rilanciare gli investimenti e dunque per alzare successivamente il Pil e creare lavoro. La Duplice invece vorrebbe uscire dal vincolo del tre per cento per aumentare la spesa. Una follia.

Vedremo come il governo italiano verrà considerato in Europa dagli altri partner e come reagiranno nei prossimi giorni, e soprattutto dopo i suoi primi provvedimenti, i mercati. Siamo a cinquant’anni dal mitico sessantotto quando tutto, anche un brutto voto a scuola o una morosa che ti aveva lasciato, veniva considerato “colpa del sistema”, un invisibile mostro dalle sette teste a cui imputare le nostre debolezze. Non vorrei che fossimo tornati a quel modo di ragionare. I mercati ragionano per conto loro e per il vantaggio che gli investitori prevedono di ricavarsi. Se le cose andranno male non si dia la colpa ai mercati. Ci si chieda semmai a cosa potrà servire la logica dei pugni sul tavolo con cui l’ottuagenario ministro per l’Europa, che potrebbe affiancare il misurato e moderato ministro all’Economia, ha promesso di convincere Strasburgo.

Vedremo se i pugni finiranno sul tavolo, all’aria o se i nostri pugili ritorneranno coi livido frutto dei pugni altrui. Così come vedremo che ne sarà della grandi opere necessarie per rendere più moderno e competitivo il nostro paese, con quel Toninelli ai Trasporti che ha giurato che la Torino-Lione non s’ha da fare, anzi da completare, visto che il tratto francese è pressoché ultimato e quello italiano in corso d’opera. Cialtronaggini perfino autolesioniste sul piano economico, visto che il rifiuto ci costerà un’enormità. Salvini ha promesso che caccerà i clandestini, ed essendo irregolari non ci si dovrebbe opporre. Vedremo se troverà la bacchetta magica e se la sua azione sarà più intelligente e redditizia di quella del suo bravo predecessore. Noi, democratici, socialisti, liberali, ma anche i popolari italiani ed europei, dovremmo rapidamente tutti ritrovarci, senza esclusioni, in una nuova grande Alleanza repubblicana, in difesa delle regole della nostra democrazia, dell’appartenenza dell’Italia a un’Europa politica che ancora non è nata, per rivendicare provvedimenti fondati sull’equità sociale (al contrario della filosofia della Flat tax), sulla modernizzazione dell’Italia, sulla difesa e lo sviluppo dei diritti civili. Non c’è tempo da perdere. E’ iniziata una nuova fase che non finirà troppo presto.