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Salvineide

Come per Figaro è un continuo e festoso canto: “Salvini di qua, Salvini di là”. L’Italia ha mostrato i muscoli, ha costretto la Spagna ad accogliere qualche centinaio di migranti, rifiutati dai nostri porti. Così si fa. Picchiando i pugni sul tavolo ci siamo fatti rispettare e adesso tutti devono fare i conti con noi. In questa fase di mondiali di calcio si azzarda anche la bizzarra equazione: Salvini uguale Cristiano Ronaldo. Il rifiuto dell’Aquarius vale la tripletta del portoghese. Poi, fuori da questa esaltazione di celodurismo collettivo, andiamo a vedere la sostanza e scopriamo che le cose stanno diversamente. Quel “prima gli italiani”, slogan che stona con le origini della Lega che di Italia non voleva saperne (ma la scelta antibossiana di Salvini, di abbandonare il secessionismo e di sposare il nazionalismo alla Le Pen, é indubbiamente alla base degli attuali successi) non viene minimamente scalfito dalla cupa decisione di chiudere i porti.

Intanto i nostri porti non sono chiusi affatto per la marina militare e per la guardia costiera e mentre Salvini cantava vittoria perché il socialista Sanchez non si era rifiutato di far attraccare una nave colma di oltre seicento migranti disperati, in Italia potevano tranquillamente sbarcare 2114 migranti negli ultimi otto giorni. E’ evidente che la balzana idea di chiudere i porti alle navi delle Ong, e in ispecie all’Aquarius, non risolve nulla oltre a dare dell’Italia l’immagine di un paese insensibile al grido di dolore di tante persone, anche bambini e donne incinte, che sono state costrette a giorni di navigazione, con sofferenze indicibili e, lo descrive un resoconto di un accompagnatore sulla nave, anche tentativi di suicidio.

Nessuno nega che non tutte le Ong siano inattaccabili, e soprattutto nessuno sottovaluta le responsabilità degli altri paesi europei che, facendosi scudo sulla sciagurata normativa di Dublino tre, hanno delegato all’Italia responsabilità e oneri insopportabili. Restano tuttavia almeno tre considerazioni. La prima: il problema dell’immigrazione irregolare si affronta in Libia, non sul mare. E’ in Libia e nei paesi di origine, ancora meglio, lo ha sostenuto il ministro degli Esteri Moavero (che fa parte, come il ministro Tria, della componente assennata del governo), e lo ha praticato con successo il ministro Minniti visto che dal gennaio a giugno gli arrivi sono stati l’80 per cento in meno dell’anno precedente, che va spostato il sismografo, approntando campi di accoglienza umani e di riconoscimento di diritti, ma anche patti economici affinchè i paesi di origine possano riaccogliere i migranti.

Di tutto questo, per ora, non c’é traccia. Poi c’é un problema lessicale che nasconde un atteggiamento piuttosto barbaro. Le parole di Salvini (la pacchia, la crociera, gli hotel a 4 stelle) rappresentano, oltre alla triste vicenda Aquarius, l’approccio meno umano, solidaristico e produttivo che sia mai stato lanciato. Esso fa centro in un paese in cui l’individualismo, l’invidia e il rancore, uniti a una cattiva gestione del fenomeno migratorio, si configurano come prevalenti. Poi c’è una terza questione. Salvini, più che bloccare una nave di poveracci che imploravano aiuto e che, in base agli attuali trattati, avrebbe dovuto accogliere, doveva muoversi in altre due direzioni: da un lato verso i suoi amici ungheresi e polacchi affinché la revisione di Dublino contemplasse la presenza della ripartizione in quote dei migranti e la seconda affinché l’Onu si facesse carico dei campi di accoglienza libica (solo una parte é stata trasferita sotto l’egida delle Nazioni unite). Di queste due immediate esigenze si faccia carico subito l’opposizione italiana, che ancora balbetta, priva com’é di un soggetto politico di riferimento. Alla politica propagandistica e inefficace del governo se ne contrapponga una ispirata a concretezza e umanità dell’opposizione.