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Lotta di classe?

La dura lotta de les gilets jaunes in Francia sta a dimostrare che le tensioni che pervadono l’Europa non sono solo riferite al tema dell’immigrazione. E’ bastato aumentare le tasse sul costo dei carburanti (più 14 per cento sul gasolio e sette sulla benzina) e tutti i direttamente interessati sono insorti. Duemila blocchi stradali, 283mila manifestanti in seicento città francesi, inviti alle dimissioni del governo, un morto e duecento feriti, rappresentano un bilancio sconvolgente, anche perché imprevisto. Anche la rivolta francese, come le recenti manifestazioni italiane, sono state promosse spontaneamente, senza capi e partiti e nemmeno sindacati. Ma é difficile ipotizzare che questa rabbiosa e improvvisa rivolta si sia alimentata solo dall’aumento del costo del carburante.

Questo provvedimento certo si somma a una situazione di disagio crescente, soprattutto nelle periferie (non a caso l’aumento, per i costi gia elevati dei trasporti, colpisce di più le aree rurali e semiurbane) e si inserisce in una situazione caratterizzata da una preoccupante e crescente disoccupazione e dalla costante perdita del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati. Anche la Francia guarda all’Europa come a un punto lontano e, nonostante le tendenze europeiste riformiste di Macron, anche deleterio. E si rafforzano gli estremismi. Quello di destra, della Le Pen, apertamente anti europeista e anti euro, e quello di Melenchon, che vede in Bruxelles il cappio al collo per i lavoratori e interpreta queste manifestazioni come un revival di lotta di classe.

Non v’é dubbio che il blocco della protesta abbia coinvolto strati popolari. E non v’é dubbio che la globalizzazione unita alla finanziarizzazione abbia creato nuove e più consistenti disuguaglianze. Il ceto medio, potremmo riprendere una vecchia profezia di Marx, anche se in questi settant’anni era avvenuto il contrario, si sta proletarizzando. Resta un interrogativo. Quale sarebbe la classe alla quale viene assegnata la paternità della lotta? Diamo uno sguardo all’intera Europa. Il processo di globalizzazione chi ha danneggiato e con esso il prevalere della finanza sull’industria? Solo la classe operaia? E poi quale classe operaia? Quella di un’industria ormai automatizzata, quella dei servizi, quella impiegatizia, quella dei tecnici? Oggi sono i disoccupati, gli emarginati, gli impiegati, sono gli imprenditori, piccoli e medi soprattutto, quelli che stanno pagando un prezzo molto alto. Sono i giovani, gli studenti, coloro ai quali non solo si addebitano nuovi costi, ma si nega il futuro, i ceti più esposti.

Allora inviterei a una maggiore serietà d’indagine. Lo dico ai tanti che hanno rispolverato, alla luce della crisi del 2008, vecchi testi deposti in soffitta, che hanno rinvangato antichi slogan di gioventù, che hanno seguito nuovi profeti della sciagura e della fine del capitalismo. Il mondo di oggi é nuovo e va interpretato con categorie inedite. Parlerei più che di lotta di classe (il senso che Marx attribuiva al termine era rivolto a una classe operaia largamente prevalente nella società di allora) a lotte popolari, che uniscono larghi strati di cittadini colpiti dai nuovi fenomeni economici e finanziari, di discriminazione e di decadenza. Il fatto che la crisi in Italia abbia segnato una comunanza di suicidi, di lavoratori a cui era stato sottratto il lavoro e di imprenditori a cui era stata sottratta l’impresa, lo testimonia. Dunque evitiamo semplificazioni ed equiparazioni impossibili con l’ottocento. Tutto sta così velocemente cambiando e limitarsi, per furore ideologico, a ricondurre il mondo ai vecchi schemi é puerile e dannoso.