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L’Italia in Festival

6 Febbraio 2019 635 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Mentre l’Italia piomba in recessione, e le previsioni sul 2019 diventano cupe, al di là dell’ottimismo di maniera del presidente Conte che pronostica un anno migliore, forse il migliore, con la saggezza di un umile venditore di almanacchi leopardiano, mentre l’Italia si trova sempre più isolata in Europa e, dopo la riunione di Bucarest, anche lontana da quegli stessi paesi verso i quali aveva rivolto la sua amichevole attenzione, mentre leghisti e grillini sono ogni giorno ai ferri corti, si parli di Tav o di autorizzazione a procedere contro Salvini, è arrivato finalmente il Festval di Sanremo, che cura le ferite, attenua i dolori, lenisce i contrasti.  Ma questo, il 69esimo, che festival é?

Con tutto il rispetto per il rap, ma vorrei capire che cos’é la canzone oggi. Hanno iniziato i napoletani, c’e una canzone firmata da Gaetano Donizetti (mi raccomando con una sola zeta) e fino a poco fa era un insieme di parole e musica, della durata di tre, quattro minuti. Poteva essere strutturata con una o due strofe d’ingresso, un ritornello oppure un inciso. Negli anni settanta si é anche spezzata questa struttura, basti pensare ai pezzi Battisti e Dalla. Tuttavia la canzone si basava sempre su uno o più motivi sorretti da parole. Se oggi si é completamente eliminato il motivo e lo si é sostituito solo da un ritmo e da frasi, siamo in un’altra fase. Quella segnata della più o meno generale soppressione della musica. Siamo alla canzone post musicale o amusicale. Per questo il festival di Sanremo non si chiami più della canzone italiana, ma delle parole italiane.

Sanremo é un rito per gli italiani. Come il Giro d’Italia, la pizza, la squadra di calcio, l’affetto per Garibaldi. Quando arriva il festival l’Italia si ferma. Una volta come oggi. Da “Grazie dei fior a Ultimo, su un’antica ottomana o su un comodo salotto, con o senza la neve, subito dopo cena tutti si sentono coinvolti, nella gara musicofila che raramente incorona il migliore. Tony Renis non vinse con “Quando, quando, quando” nel 1962, ma l’anno dopo con la banale “Uno per tutte”, Bobby solo con la tiritera di “Se piangi, si ridi”, cantata in compagnia col popoloso complesso del Minstrell nel 1965, e non con la famosa Lacrima sul viso, che battè ogni record di dischi venduti. Sanremo é anche protesta, come quella degli operai dopo l’autunno caldo, commedia, come quel discusso tentativo di suicidio sventato da Pippo Baudo, tragedia, come nel 1967, segnato dal suicidio di Luigi Tenco.

Per questo se Sanremo deve segnare un’epoca questa dovrebbe essere quella della fine della musica. E del trionfo delle invettive, del rancore (affascinante il testo di Daniele Silvestri), dell’urlo per segnare un’identità (vedi Loredana Bertè che grida “Cosa vuoi da me?” e tenta a più riprese, a mò di minaccia, di alzarsi la gonna per scoprire ancora di più i suoi gamboni). Così quando sentiamo, dopo un lungo parlato, un accenno di melodia nella canzone di Simone Cristicchi, con afflato di violini, ci viene da respirare. Come mai questo assurdo vecchiume?  Del Volo che dire? Che voce, che grinta, ma cantano sempre la stessa cosa, nello stesso modo. Con un ritornello a braccia e bocche aperte. Sorridenti, felici, bellini. Ma il cuore? Non saprei che dire del povero Nino D’Angelo se non che l’ho trovato invecchiato e stonato e di Ultimo, che viene paradossalmente pronosticato primo, come nella profezia cristiana.

Restano gli ospiti e i presentatori. La canzone più bella é quella che Bocelli padre presentò a Sanremo giovani 25 anni fa: Il mare calmo della sera. Ti avvince e ti trasporta in un mondo fatto di melodie intriganti. Il grande Verdi scriveva che la melodia non é né antica né moderna, ma eterna. Si sbagliava, evidentemente. Non aveva ancora conosciuto Renga, Neck, Achille Lauro, che non é né un armatore né una nave. Bene anche Bocelli figlio con tanto di giubbotto portafortuna. Ci aspettiamo molto dalla bravissima Virginia Raffaele con le sue imitazioni folgoranti e anche dallo humor di Bisio. Baglioni, maestro di intense melodie, non é Mike Bongiorno, né Pippo Baudo. E’ rigido come un pesce surgelato. E liftato. Ha sempre  la stessa espressione come Francesco Totti quando siede allo stadio. Trapela nulla. Vediamo le prossime serate. E nel silenzio della musica chissà che appaia anche qualche nota, per ora assente nel festival della canzone, anzi della post canzone, italiana

 

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