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La libertà di scrivere

A proposito del salone del libro di Torino e dell’esclusione della casa editrice di destra Altaforte, delle polemiche scaturite, dei dissensi e consensi che tale decisione ha suscitato, vorrei esprimere alcune valutazioni che si sposano con quelle sostenute sul Corriere della sera da Ernesto Galli della Loggia. Non condivido una virgola delle posizioni politiche manifestate dal presidente di questa casa editrice che esalta Mussolini e il fascismo e che si è più volte segnalato come un manifestante coinvolto in iniziative di Casa Pound. Ma resto alla differenza tra pensiero orale o scritto ed azione che della Loggia opportunamente evidenzia. Devo io reprimere le idee e gli scritti, contestarli anche duramente sì, ma impedirli dunque, o devo reprimere le azioni violente che tali idee o scritti eventualmente suscitano. E dove sta il confine tra libertà e negazione della stessa? Il tema non è di oggi. Filosoficamente é ben condensato in una frase erroneamente attribuita a Voltaire e cioè “Non sono d’accordo con quel che dici ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo”. Estremizzando il concetto dovremmo arrivare a legittimare qualsiasi pensiero, anche il più lontano dal nostro sentire, anche il più oppressivo e violento? Parliamone. In passato in Italia circolavano liberamente giornali e scritti che inneggiavano alla rivoluzione armata, alcuni mostrando nel titolo addirittura un fucile. E se qualcuno di questi veniva ritirato a ergersi a difensori dei principi di libertà e di tolleranza erano quegli stessi che la negavano a tendenze di opposto segno.

Chi non ricorda i cattivi maestri, coloro che legittimavano la violenza accorgendosi poi in ritardo che qualcuno si era messo a praticarla? Nomi che oggi splendono nel panorama del firmamento giornalistico, alcuni ovviamente pronti a legittimare l’esclusione della casa editrice di destra, ma mai disposti a fare altrettanto con chi giustifica lo stalinismo, o la violenza dei kmer rossi o la cruenta dittatura di Mao. Questi libri sono permessi. Non sto parlando del soggettivo diritto degli organizzatori di invitare a una iniziativa chi vogliono. Sto parlando di un invito ritirato e di uno sfratto dato dopo una dura polemica che non può esimersi dall’intrecciarsi con la vicenda della pubblicazione da parte di questa casa editrice di un libro su Salvini. Prendiamo le parole dello scrittore Cristian Raimo, che per primo si é scagliato contro l’invito. Le sue parole che additavano come fascisti e razzisti editori e giornalisti e soprattutto quel suo spingere per “Un salone militante e antifascista” appartengono a una cultura liberale?
Il tema é dunque quello del fascismo. E’ dunque specifico e non attiene ad altre ideologie ugualmente e anche più intolleranti e sanguinarie. Coloro che si dicono fascisti possono legittimamente professarsi tali anche attraverso lo scritto? Costituzionalmente sì, essendo vietata l’apologia non la identità del fascismo e la sua ricostituzione in partito. Della Loggia ricorda quel che tutti si dimenticano e cioè che i nostri padri democratici e antifascisti proibirono, in una disposizione transitoria, a chi avesse avuto incarichi nel partito fascista di presentarsi alle elezioni per quattro anni. Cioé per un periodo limitato, animati (quale altro era il significato dell’amnistia di Togliatti?) dalla volontà di pacificare e unire tutti gli italiani. Del resto si é lasciato in vita per decenni il Msi composto in larga parte da reduci della Repubblica di Salò, in primis il suo leader Almirante.
Che conseguenze oggi determina la repressione e la marginalizzazione di un pensiero sbagliato, diciamo anche riprovevole, chiamiamolo assurdo e nefasto? Le conseguenze, come quelle scaturite dall’esclusione di Torino, sono, da un lato, la pubblicizzazione dell’escluso cui si concede l’uscita dall’anonimato e dall’altro la sua catalogazione a vittima alla quale destinare svariate solidarietà. Se la polemica non fosse iniziata nessuno conoscerebbe quella scalcagnata casa editrice e quel suo poco responsabile editore. Ma è così. Si voleva esaltare questo principio. E cioè che non solo le azioni ma anche le idee possono essere represse. Resta il fatto che, fascismo o no, si può aprire un pericoloso precedente. Ezra Pound, che certo non conosceva il partito che avrebbe preso il suo nome, é tranquillamente venduto e commercializzato in tutte le librerie e magari anche nello stesso salone di Torino. Dovremmo escludere anche i suoi libri?