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Il doppio scontro

Nell’immagine di Salvini che oscilla tra la sua posizione di membro del governo e di capo dell’opposizione, e non sa da quale scranno parlare, c’é l’aspetto surreale di una crisi solo annunciata. Il leader della Lega l’aveva dichiarata depositando una mozione di sfiducia, ma non aveva presentato le sue dimissioni da ministro e ritirato la sua delegazione al governo. La crisi é stata oggi formalizzata dal presidente Conte che ha dichiarato che si recherà dal presidente della Repubblica per presentare le sue dimissioni che equivalgono a quelle di tutto il governo. Solo allora entrerà in scena il presidente della Repubblica coi suoi poteri costituzionali. Non condivido le critiche da più parti formulate per il suo troppo lungo silenzio, visto che Mattarella non aveva alcuna possibilità di proferir parola.

Conte non ha risparmiato dure e velenose accuse a Salvini, e i suoi aggettivi, tra i quali “pericoloso, autoritario, inefficace”, sono stati ripresi nell’intervento del leader della Lega e rinviati al mittente. La prima certezza é che, con l’intervento do Conte, applauditissimo dai grillini, si sia posta fine a qualsiasi possibilità di recupero della vecchia maggioranza. Può anche essere che il discorso del presidente del Consiglio sia stato pronunciato per ingraziarsi il Pd, che lo ha largamente approvato, ma questo tentativo, se fosse stato il suo malcelato scopo, si é subito rivelato illusorio anche per le parole di Renzi, il più odiato dai Cinque stelle, ma ad un tempo il più determinato a fare un governo con loro, sia pure istituzionale e non politico, che gli ha rimproverato il ritardo delle sue esternazioni.

Fuori dall’Aula di Palazzo Madama echeggia una dichiarazione del segretario del Pd Zingaretti, non a caso rilasciata dopo l’intervento di Conte e prima del discorso di Renzi, che in sintesi chiede ai Cinque stelle di ammettere non solo il fallimento di Salvini, ma anche il loro per iniziare un dialogo. Sappiamo bene che nel contrasto Lega-governo si staglia quello, nel Pd, tra Renzi e Zingaretti. I due si sono improvvisamente scambiate le parti. Chi era accusato (Zingaretti) di lavorare per un’intesa coi Cinque stelle (da Renzi) è oggi il più restio a formare un governo tra Pd e griilini e preferirebbe le elezioni. Il fatto che Renzi oggi abbia parlato a nome del gruppo Pd del Senato (contrariamente al passato quando gli fu impedito) dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il vero patron del gruppo (anzi dei gruppi, compreso quello della Camera) é lui. Zingaretti però detiene la maggioranza del partito nei suoi vari organi. Se Renzi dovesse piegarsi alla volontà di Zingaretti sacrificherebbe la sua ampia maggioranza parlamentare, se invece decidesse di non farlo si avvierebbe a una scissione (sempre per il supremo bene del Paese, a suo dire).

Seguiremo le evoluzioni della crisi. Il Psi, con Riccardo Nencini, ha ribadito la posizione stabilita in segreteria e cioè il no a governi pasticciati e di breve durata esprimendo disponibilità a un confronto per una soluzione politica duratura, se ve ne saranno le condizioni. Grillo e i suoi hanno dichiarato che non intendono dialogare con Renzi, Boschi e Lotti. I quali invece vorrebbero dialogare con loro. I Cinque stelle lo farebbero volentieri con Zingaretti che però diffida di loro (e di Renzi), pretende improbabili sconfessioni e preferirebbe, come Salvini, il voto a ottobre, magari preceduto da un governo elettorale. In questo incaglio sta tutta la difficoltà a risolvere la crisi. E la giornata di oggi non ha certo dato un contributo costruttivo.