- L'Occhio Del Bue - http://www.locchiodelbue.it -

Procure e partiti

Per un socialista che ha vissuto il dramma di Tangentopoli parlare di finanziamento ai partiti e dei rapporti tra magistratura e politica é un invito a nozze. Dal 1992 il denaro che in modalità spesso illegittime proveniva ai partiti é stato prima criminalizzato e poi improvvisamente ignorato, come se si trattasse di cosa della quale era meglio non parlare. Sono trascorsi 27 anni dall’esplosione di un fenomeno che ha finito per sconvolgere il quadro politico italiano, per sentenziare ragioni della storia all’incontrario, per mettere sotto torchio alcuni e per salvare altri. Più volte, a fronte di un’indagine di tale rilievo, nella quale per la prima volta la magistratura, come riflesso della caduta delle contrapposizioni ideologiche provocata dalla fine del comunismo e in Italia del Pci, si é scagliata contro i partiti, é stata evocata, soprattutto da parte del segretario del Psi Bettino Craxi, la necessità di una commissione parlamentare d’indagine, perché il Parlamento prendesse possesso di una vicenda che finiva per sancire la conclusione di un intero ciclo politico. Su ogni argomento in Italia si é costituita una Commissione d’indagine, tranne che sulla vicenda che più d’ogni altra ha segnato il corso della storia politica italiana.

Oggi una Commissione d’indagine la propone Di Maio, ma circoscritta al ruolo delle fondazioni, a seguito dell’apertura delle inchieste della procura fiorentina su Open, la fondazione vicina a Matteo Renzi. Con un atteggiamento accusatorio Di Maio, che non ha mai chiarito i termini del rapporto tra i Cinque stelle e la Casaleggio srl, sguaina lo spadone contro un suo alleato di governo, per di più indispensabile, almeno al Senato, per farlo sopravvivere. Meno cauto dello stesso Salvini che non ha preso posizione sulla vicenda, Di Maio ha già pronunciato la sua sentenza, come il capo dei giustizialisti italiani Marco Travaglio, ieri sera in tv. Oltre a non chiarire i termini esatti del rapporto con la Casaleggio Di Maio dovrebbe anche chiarire se la forma partito del suo movimento sia in regola con le prescrizioni dell’articolo 49 della Costituzione, laddove si parla di “metodo democratico” anche riferito all’organizzazione interna dei partiti.

La Costituzione assume i partiti alla stregua di istituzioni pubbliche, da regolamentare con successiva legge, che mai si é voluto approvare per il rischio di mettere fuori legge il Pci, un partito che di organizzazione democratica non aveva neanche l’ombra. Oggi il tema potrebbe proprio riguardare i Cinque stelle, un partito che dipende da un’azienda privata, che dispone di un capo senza alcun organismo democratico, che non svolge congressi. Oggi questo movimento che ha imposto la fine del finanziamento pubblico ai partiti e il taglio incostituzionale dei vitalizi, ha voluto approvare una legge costituzionale che taglia vistosamente il numero dei parlamentari, tagliando in realtà con esso il principio di rappresentanza, mentre gli altri partiti sia di maggioranza che di opposizione hanno seguito queste istanze, dettate solo dall’antipolitica e dal continuo scherno alla democrazia rappresentativa, senza opporsi, a capo chino, con rassegnazione e senza combattere.

Un bilancio su cosa sia diventata la politica, su cosa siano diventati i partiti tuttavia si impone. La piena subalternità alle Procure ha disegnato un panorama inquietante. La mamma del povero Penati urla il suo sdegno per il modo in cui il suo partito, i Diesse, ha trattato il figlio, dichiarato poi innocente, costituendosi parte civile contro di lui e sbattendolo fuori dalla porta. Adesso il Comune di Milano gli assegna l’ambrogino d’oro, proprio assieme a Saverio Borrelli, con un pilatismo invero sconcertante. Una vittima della giustizia italiana e il capo del Pool Mani pulite, sia pure recentemente pentito, sullo stesso podio. Renzi é oggi colpito ancora dalla procura fiorentina e per la terza volta nel giro di pochi anni, mentre Berlusconi é stato indagato, processato, condannato, forse anche a ragione, fatto decadere da senatore, ma aggredito in ogni modo politicamente, sempre sull’onda di quel sentimento giustizialista dal quale non riusciamo a liberarci.

Certo una riforma della giustizia sono venticinque anni che manca. Una riforma che stabilisca che magistratura inquirente e giudicante non sono la stessa cosa e non possono essere amministrate dallo stesso organo, che l’obbligo dell’azione penale é una bufala e rivela in realtà solo la più alta soggettività del magistrato nell’azione penale, che il Csm non può continuare ad essere lottizzato per correnti politiche e con esso anche le nomine dei procuratori in giro per l’Italia. Per troppo tempo questo assurdo sistema, unico in tutta Europa, ha fatto comodo ad alcuni per perseguitare altri, attraverso connivenze politiche dei magistrati con partiti politici, correnti e singole personalità. La responsabilità di tutti i partiti della cosiddetta seconda Repubblica é di non avere mai approvato una legge organica di riforma della giustizia e di avere sempre subito il fascino dell’azione dei magistrati soprattutto quando aprivano procedimenti agli avversari. Di avere cioè concepito l’azione dei magistrati come occasione di lotta politica. Non mi meraviglierei che anche stavolta finisca così. Con una Procura alla ricerca di quel che non trova e con i partiti avversarsi plaudenti.