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Sanremo 2 “Un capolavoro in mezzo a molte banalità”

Il festival dei rimpianti é stato sfregiato. E adesso sconfina nel rancore. Anzi nel Rancore. Proprio come segnalava mesi addietro, a proposito dell’ispirazione del comportamento degli italiani, un’indagine mirata del Censis. Solo che questo sentimento é stato incarnato. Si é presentato un cantante chiamato proprio così. Piccoletto e vestito di nero (qualche analogia con le brigate di eguale colore?) e serio, anzi arrabbiatissimo, gli mancava solo il manganello, ha parlato di una storia senza fare intendere una sola parola. Si capiva ad occhio che era stato tradito, meditava vendetta, forse pugni in faccia. . . . E invece no, parlava, ho letto il testo neanche male, della storia del mondo. Umile. La musica, una sola nota in maggiore, é stata composta da cinque persone. Mediamente un quinto di nota a testa. Ma non finisce qui. Il festival dei rimpianti deve avanzare mettendo in mostra il peggio di oggi. Arriva un altro a cui sembrava avessero compiuto il peggiore misfatto, certo Junior Cally, anche lui vestito di nero ma con una divisa da militare per renderlo ancora più truce. E accende la polemica di Jessica Notaro, perché lui porta una maschera finta, ma non a Sanremo, ed incita alla violenza mentre lei la violenza l’ha subita e dell’acido porta ancora le conseguenze. Il festival dei rimpianti e dei contrasti si arricchisce della presenza di uno splendido Massimo Ranieri che riesce a cantare bene anche con Tiziano Ferro in un memorabile “Perdere l’amore”, vincitore a Sanremo 1988, e poi fa il bis in un monologo intrigante. Che dire poi di Zucchero che al terzo brano gli ritorna in mente: “Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica”. Forse preveggente di un alto tasso di pedofilia presente nella Chiesa e soprattutto nelle parrocchie di periferia. Un inno a soddisfare anche in solitario appetiti sessuali che spinge tutti gli spettatori, in prevalenza coi capelli bianchi e la moglie al fianco, a ripetere in coro lo slogan ad alzarsi in piedi per ballare. Con le mogli in trepidante e probabilmente vana attesa. E Gigi D’Alessio col suo pianoforte e le sue romanticherie. E i Ricchi e poveri, tutti e quattro insieme. L’evento della riunificazione dei tre con Marina (la più giovane, 69 anni) viene salutato come un fatto d’importanza storica alla stregua dell’unificazione tedesca. Pochi anni addietro, solo 43, fu proprio Marina ad abbandonare la compagnia per cercare, invano, successo da sola. L’evento della nuova unità (forse uno sgarbo perdonato dopo quasi mezzo secolo) é stato celebrato anche da una ennesima invasione del prorompente Fiorello che s’é aggiunto come quinto in un’insolita “Che sarà”, la canzone cantata al festival del 1972 dal complesso ligure in coppia col grande José Feliciano. Ma anche il festival dei rimpianti del bravissimo Amadeus, accompagnato da due giornaliste meno avvenenti di Diletta Leotta e Rula Jeabral, ma non meno brave, Emma D’Aquino e Laura Chimenti, con la ex modella Sabrina Salerno, ha aperto uno squarcio di musica e di arte autentica. Ecco Tosca, una cantante che ha ricevuto molto meno di quel che meritava, nell’interpretazione del brano più bello del festival. Una canzone che si regge su una melodia dolce e disperata, a cui serviva solo un accompagnamento di pianoforte, un sottofondo di violini e un’interprete di classe. L’impasto ë emozionante e rimanda ai migliori pezzi dei cantautori francesi, anche se l’autore di musica e parole é un italiano, Pietro Cantarelli, un musicista parmigiano già collaboratore di Ivano Fossati e autore di colonne sonore di film. Una vera sorpresa registrarlo anche nelle vesti di poeta nel brano “Ho amato tutto”. L’altro pezzo di un certo valore é quello di Gabbani che a Sanremo trionfò nel 2018 con la celebre “Occidentalis karma”. Il suo brano è frizzante e piacevole, ben costruito con due frasi d’ingresso e un ritornello ripetuto. Alla faccia dei rappisti, modernisti, confusionisti, per dirla cogli ismi di Fiorello. Io non riesco a immaginare chi abbia inventato il nome dei Pinguini tattici nucleari. Tre parole che non hanno nulla in comune. Almeno la Premiata forneria Marconi aveva qualche attinenza con la realtà. Di pinguini non é estranea la storia della musica leggera, come quello celebrato nella famosa canzone dei Trio Lescano, talmente innamorato della sua pinguina, che quando il padre gli proibì di vederla, si sparò. Vestito in frack, proprio come quel disperato della magnifica canzone di Modugno, forse tratta proprio dalla tragedia del pinguino innamorato. Ma tattici e nucleari perché? Una bomba atomica usata tatticamente dai pinguini? Il pezzo non mi pare niente di che, anche se i giornalisti del settore ne parlano bene (ma costoro elogiano anche Rancore e mi vengono i brividi). Forse tra i Pinguini e Rancore esiste un filo tattico nucleare? Per una bomba atomica non basta un po’ di rancore. Benino Paolo Jannacci che canta alla Jannacci dopo avere diretto per anni, come valente musicista, il grande Enzo dal podio dell’orchestra. Il rock di Pelù, che alla fine sarà secondo nella serata dietro Gabbani, é invece alquanto scontato e cosi il pezzo di Zarrillo. Il tennista Djokovic, ospite di lusso, ha dato un rovescio sportivo al festival mentre la presenza di Paolo, malato di Sla, e autore di un pezzo cantato da un amico ed eliminato ma ugualmente ospitato, ha segnalato un dramma autentico e vissuto con la forza e il coraggio di un giovane ventiduenne. Stasera il festival dei rimpianti sarà coerente. Ogni cantante sarà accompagnato da un altro e insieme i due canteranno una canzone sanremese del passato. A parte il brano di Tosca, che per me é un autentico capolavoro, dubito che, in occasione di un’analoga rassegna, qualcuno attinga dalle canzoni di quest’anno. E lo dico senza rancore. Anzi senza Rancore.

Mauro Del Bue