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Adesso non si scherza

Il coronavirus avanza impietoso e l’Italia mette in mostra il meglio e il peggio di sé. Cioè, da un lato, si mostra per quel che é sempre stata: un Paese dal cuore grande, con alta dose di generosità e di spinte verso comportamenti eroici. Come altro giudicare quelli dei medici e degli infermieri che lottano negli ospedali per tentare di guarire gli infettati, rinunciando alle ferie, senza un attimo per poter rifiatare. Come non apprezzare gli amministratori locali in trincea, alcuni colti dal virus per non aver saputo resistere all’impatto con le loro popolazioni. Come non lodare i funzionari pubblici che per garantire un servizio alla cittadinanza non hanno lasciato il loro posto di lavoro nemmeno nella primaria zona d’emergenza, nell’area dei dodici comuni lodigiani. E come non dare atto di un’attività preziosa e anche rischiosa alle forze dell’ordine che stazionano nei luoghi più delicati, per circondare i centri isolati, per impedire il passaggio, per convincere i cittadini a restare a casa.

L’Italia però, dall’altro, resta un paese profondamente anarchico che quasi mai é riuscita ad unirsi, nemmeno a fronte delle più gravi emergenze. Lasciamo perdere le due fasi dell’unità nazionale, quella del primo dopoguerra e quella degli anni settanta contro il terrorismo, che sfociarono in contrasti furenti. Ma nemmeno quando il nostro Paese ebbe il gravoso compito di partecipare a una guerra, con l’avallo dell’Onu, nel gennaio del 1991, si registrò, come avvenne in altre nazioni, una sostanziale convergenza. E nemmeno sul modo di fronteggiare il terrorismo islamico che unì, dopo averla più volte colpita, la Francia, in Italia si levarono voci concordi, così come si ebbe modo di polemizzare con toni ardenti sulle doverose missioni italiane nei vari paesi coinvolti in attività belliche, scambiando una attività di pace per un coinvolgimento in guerra. Potrei continuare.

Ad uno spirito spesso rivolto all’interesse parziale, quando non individuale, si é poi aggiunta, soprattutto negli ultimi anni, una vera e propria frammentazione del processo decisionale. La riforma del titolo V della Costituzione, voluta e votata dal governo dell’Ulivo a fine mandato 1996-2001, ha delegato alle regioni un ampio potere statale e altri li ha concepiti come materie comuni. E’ vero che l’articolo 120 della Costituzione prevede che lo stato, in una situazione di emergenza, possa arrogare a sé poteri degli enti locali in caso “di incolumità e di pericolo della sicurezza pubblica”. Ma questo ancora lo stato italiano non ha fatto con un atto pubblico. Lo sta facendo de facto. O meglio sotto traccia. Vedi l’esempio del dpcm di due giorni orsono, che tanto ha fatto imbufalire i governatori di Lombardia, Veneto e anche Emilia-Romagna.

Poi vi è un surrogato di competenze che riguardano, caso unico in Europa, i poteri autonomi del mondo sportivo. Qui c’é un vespaio quasi inestricabile tra compiti governativi, poteri del Coni e delle federazioni e nonché quelli delle Leghe. Quello che si é verificato ieri é allucinante. Un ministro che la sera prima aveva approvato un decreto che ammetteva di giocare le partite di calcio a porte chiuse la mattina dopo sollecitava la Lega calcio, con le squadre pronte a scendere in campo, a sospenderle, col Coni e la Federazione d’accordo e la Lega no. Risultato: si è giocato lo stesso. Ma forse mercoledì il Consiglio della Lega deciderà di sospendere tutto, contrariamente alle decisioni precedentemente assunte.

Com’é naturale che sia, anche alla luce dei risultati positivi che un sistema totalitario come quello cinese inizia a raggiungere, laddove le decisioni sono più rapide e i controlli più attenti, e dove i contrasti e le polemiche sono vietati, anche in Italia si é avvertita l’esigenza, se non di mettere in ibernazione la democrazia, almeno di affidarsi transitoriamente a un uomo solo. A un commissario con poteri straordinari almeno a livello di gestione delle conseguenze dell’epidemia e delle verifiche delle scelte del governo. Come se il coronavirus fosse un terremoto. Solo che, al contrario di un terremoto che interessa un’area geograficamente limitata, il virus infetta tutta l’Italia e l’eventuale commissario dovrebbe agire su tutto il territorio nazionale. Matteo Renzi ha anche avanzato la candidatura di Bertolaso. Sarebbe una scelta giusta per esperienza e capacità. Pare che qualcuno nel governo si opponga per essere stato, Bertolaso, ministro di Berlusconi. Come se nessuno dell’attuale governo sia stato alleato con la Lega…

No, non si scherza. Il coronavirus che in Italia si avvia a superare gli 8mila casi, otto volte superiori a quelli di Francia e Germania, di poco superiore anche a quelli della Corea del sud, non é una semplice influenza e non é neppure un’epidemia come un’altra. Ancora nessuno ha saputo chiarire le ragioni che pongono l’Italia al secondo posto tra tutti i paesi del mondo alle prese col virus, se questo dipenda dai contatti più frequenti di un tessuto composto al 95% da piccole e medie imprese col mondo cinese o se dipenda da errori compiuti nella prevenzione e nell’immediata diagnosi della malattia. Ma non c’é dubbio che qualcosa non abbia funzionato se siamo a questo punto.

Tra le tante tabelle pubblicate, occorre prendere atto delle percentuali di letalità del virus. Ad oggi in Italia il coronavirus ha mietuto circa il 3,5% di vittime rispetto al totale degli infettati riconosciuti. Mediamente la letalità di un’influenza si colloca tra 0,1 e lo 0,5 per cento. La spagnola che invase l’Europa proprio alla fine del primo conflitto bellico ebbe una mortalità del 2,5%. E’ ovvio che quest’ultima pandemia finì per interessare decine di milioni di individui ed é augurabile che il coronavirus si arresti molto prima. Quello che si può fare oggi é affidarsi al senso di responsabilità degli italiani. Non si sprecano gli inviti a stare in casa, ad evitare assembramenti e viaggi inutili. Ma tutto é molto complicato, e torno all’inizio, per il carattere degli italiani, come quello di quei due anziani di Codogno che, forzando i controlli, sono finiti in Trentino a sciare o di quelle decine di migliaia di italiani, che un tempo avevano raggiunto il Nord provenienti dal Sud pet lavorare e che nei giorni scorsi hanno fatto il viaggio all’incontrario pensando di fuggire dai bombardamenti e di trovare un porto sicuro e che invece hanno esportato il virus nelle loro città d’origine assolutamente incapaci di farvi fronte. Che Dio ce la mandi buona anche se non sempre ce lo meritiamo.