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Giampiero Grevi, un simbolo granata

Giampiero Grevi approda a Reggio nell’estate del 1957. La Reggiana del triunvirato (Visconti, Lari e Degola, tutti e tre vice presidenti per sentimento ugualitario) aveva disputato il suo primo campionato di C, battendosi più che onorevolmente con le prime, dopo il triennio di Quarta serie (1953-1956) a cui era stata condannata dai cugini d’Oltrenza a causa di un tentativo di illecito. Grevi proveniva dalla Carrarese e sotto i ponti del Crostolo lo seguirono dalla Lunigiana i mediani Rosini e Latini. Quest’ultimo, in quel campionato 1957-58, verrà poi utilizzato come centravanti arretrato, in sostituzione dell’infortunato cronico Perli. Grevi si mostrò subito il perno della difesa di una squadra che Del Grosso faceva giocare col vecchio WM. Dopo la promozione in B, Grevi, coi terzini Nobili e Gatti e Corsi o Boccalatte a proteggerlo da vicino, fu ancora tra i protagonisti di un campionato di B d’avanguardia. La Reggiana di Pinti e Pistacchi si classificò quarta e vennero promosse in A Palermo e Atalanta. Su di lui mise le mani la società siciliana che se lo portò oltre lo stretto grazie alla solita mediazione di Mauro Aigotti. Laggiù, tra aranci e limoni, erano già discesi un nugolo di reggiani, tra cui Malavasi e Sereni e qualche anno prima Giaroli. Il traffico Reggio-Palermo si intensificherà negli anni seguenti. Due stagioni Giampiero riuscì a stare lontano dalle nostre nebbie, la seconda amara per noi col suo Palermo promosso in A a spese nostre. Poi, nel 1961, il suo ritorno. Per la prima volta Del Grosso si convinse di giocare col libero e con uno stopper davanti. A Grevi affidò il primo compito, a Corsi il secondo, ma fu retrocessione. Del Grosso venne assunto dal Padova in qualità di direttore sportivo e si portò seco Grevi. I due restarono un solo anno lontano dal Broletto e nel 1963, con Giancarlo Cadé alla guida di un’ambiziosa Reggiana, Del Grosso, da diesse, e Grevi, da capitano maggiore, varcarono il Po e si trasferirono nella città del tricolore. Il primo anno, 1963-64, fu subito promozione, con i giovani Fantazzi, De Nardi e Correnti, e col goleador Facchin e dietro Grevi a sbullonare le macchine avversarie, poi nel campionato seguente, con Gipo Calloni a nutrirsi di gol e carbonella, fu Reggiana double face, e salvezza sicura. Un po’ meno bella la stagione seguente. Poi l’avvio dell’era Crippa nel 1966 e Grevi, trasformato in capitano d’assalto, si trovò a scontrarsi con un arbitro nel corso di una gara tra Genoa e Reggiana finita col poco onorevole risultato di 8 a 1 per il Grifone. Uno schiaffo, sì una bella sberla forse quell’arbitro se l’era anche meritata, ma Grevi non si comportò da nobiluomo qual’era sempre stato. La giustizia fu impietosa: squalifica a vita. Un anno, il 1967-68, senza Grevi (venne lanciato il diciottenne Negrisolo) e poi dalla vittoria azzurra agli Europei del 1968 scaturi l’amnistia. Evviva. Nel 1968-69 Grevi sembrava un ragazzotto con l’entusiasmo del neofita. La Reggiana sfiorò ancora la A, persa per un solo punto a vantaggio del Bari (in A “ag volen mia andar” mugugnavano i tifosi) e Grevi segnò il suo unico gol. Col Foggia al Mirabello, divenuto verde, partendo da centrocampo. Non era un fulmine di guerra, ma riuscì a seminare gli avverarsi grazie a un mix di esperienza e di furbizia, e infilo l’incolpevole guardiano pugliese. L’anno dopo fu l’addio al calcio giocato (la solita retrocessione con una squadra costruita per la promozione) e l’inizio di un nuovo ruolo: quello di direttore sportivo. Fu a fianco di Galbiati, con Campari fu co -allenatore, poi di Corsi, Di Bella, Giorgi, Caciagli, fino al 1977. Continuò a collaborare. anche qualche anno addietro e lo potevi intravvedere in un ufficio del Giglio, dietro una vecchia scrivania. La Reggiana era la sua casa. Una montagna di ricordi lo univano a quella benedetta maglia granata. E noi oggi lo ricordiamo come uno dei giocatori che le ha voluto più bene. E che, quando ha tentato di distaccarsene, non ci è neppure riuscito.