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Ritorno al futuro (seconda puntata)

L’economia globale

Che si debba marciare verso un governo del globo ne parlava un certo Dante Alighieri nel suo De Monarchia la bellezza di 700 anni fa. E non eravamo certo in epoca di globalizzazione economica e di Wto. Dante ipotizzava una monarchia unica di quel pezzo di mondo allora conosciuto che si spingeva non oltre quello che il suo Ulisse aveva temerariamente oltrepassato. Oggi pare perfino logico che la globalizzazione dell’economia, dei mercati e del commercio debba portare prima o poi anche alla globalizzazione della politica. Anzi pare evidente che la globalizzazione dell’economia senza quella della politica finisca per essere pericolosa perché incontrollata. L’epidemia di coronavirus, trasformata nella peggiore pandemia mondiale del secolo, costringe ad accelerare un processo di coordinamento operativo, se non di vera e propria unificazione dei governi. Se il costo del lavoro in Cina influisce direttamente sul mercato dei beni prodotti in Occidente, se la sindacalizzazione e le rivendicazioni degli operai cinesi sulle paghe e sugli orari di lavoro (inevitabile conseguenza della democratizzazione di quel paese) incidono profondamente sull’andamento delle economie degli altri paesi, a maggior ragione oggi la salubrità dei suoi mercati e dei suoi cibi si riflettono sul benessere del mondo intero. Se un virus si trasmette da un animale, forse un pipistrello, a un uomo, vigilare a livello internazionale, l’Oms o altro organismo, sulla salubrità del rapporto uomo-animale in Cina é di vitale importanza per evitare nuove pandemie. Il secondo punto riguarda la concertazione sulla ripartenza economica e le norme che la devono caratterizzare. Quello che è avvenuto a fronte del dilagarsi dell’epidemia non si deve assolutamente ripetere. Nemmeno in Europa, per non parlare dello schizofrenico atteggiamento del governo americano, si é preso atto della necessità di attuare provvedimenti comuni. Per la verità, anche in ambito di blocco delle attività produttive, continuano le contraddizioni, talchè accade che lo stesso complesso industriale si vede costretto a chiudere uno dei suoi stabilimenti in Italia mentre in Germania un identico stabilimento continua a produrre. Un coordinamento sulle regole da adottare, comprensive dei tempi in rapporto all’evoluzione del virus, per la riapertura é oltretutto necessario per l’intrinseca rete intrecciata di produzioni e di scambi. Questo tanto più in Europa. L’idea potrebbe essere quella di affidare a un organismo europeo, la Commissione, le caratteristiche in basi alle quali una nazione può ripartire. Anche in questo senso occorrerebbe delegare più competenze all’Europa. Che senso ha la riapertura a discrezione se l’economia é globalizzata, se produco in Italia ma anche in altri paesi e vendo prevalentemente all’estero? Per di più un mancato coordinamento può determinare il rischio di una concorrenza selvaggia anche tra paesi europei e una pericolosa rincorsa verso nuovi clienti prima coperti da altri partners. Terzo punto. E’ evidente che in una situazione di grave recessione, come ha giustamente osservato Mario Draghi, altro non c’è che aumentare il debito. Il problema é che non tutti i debiti nazionali europei sono uguali. L’Italia, che ha lanciato un necessario piano di salvataggio di 750miliardi 350 attraverso il penultimo decreto e 400 con l’ultimo) a cui si aggiungono i 220 assicurati dalla Banca centrale e, forse, altri in forma di eurobond, a meno che questi ultimi non vengano contabilizzati, se mai venissero deliberati, in luogo delle risorse nazionali, dovrà appesantire ulteriormente il suo già oneroso disavanzo. Vedremo come saremo nelle condizioni di coprirlo. Ma é evidente che con un calo vertiginoso del Pil il rapporto col debito e col deficit salirebbe ancora di più. Dunque è giusto impedire un radicale smottamento in basso del tasso di sviluppo. L’Europa é venuta incontro alla crisi con tre provvedimenti importanti: l’abolizione del patto di stabilità, il superamento del vincolo del tre per cento, e conseguenze al ribasso dovute al fiscal compact, nel rapporto tra deficit e pil, l’erogazione di 750 miliardi da parte della Bce. Ancora l’Europa cincischia sulla possibilità di concepire il debito, non quello passato dei singoli paesi come dovrebbe fare un’Europa politica, ma quello relativo all’emergenza corinavirus, come indebitamento comune. Sarebbe un passaggio anche simbolicamente importante per far procedere in avanti il processi di unificazione politica europea. Un primo passo, oltretutto dovuto all’emergenza, verso un bilancio comune. Lo tengo per quarto e per ultimo. E’ evidente, questo sta avvenendo anche negli Usa ultraliberisti, che questa crisi metta in moto un nuovo e più diretto rapporto tra stato ed economia. Senza rifarsi ai dogmi del keynesismo, non ci vuol molto a capire che le crisi si possono risolvere solo mettendo in moto investimenti pubblici e privati con agevolazioni pubbliche. Il ruolo dello stato, con garanzie bancarie, riduzioni e dilazioni delle tasse, veri e propri piani pubblici per le infrastrutture e per l’ambiente, risulta oggi impellente. Questo non significa rispolverare vecchie armature nazionalizzatrici e riscoprire che il pubblico è sempre meglio del privato. Significa, in un momento transitorio, assegnare allo stato il ruolo di assistente del privato, che poi dovrà riprendere a marciare con le sue gambe. Credo che compito dello stato, oltre a quello di assistente a tempo, debba poi diventare quello di pianificatore. Si tratta di una vecchia e mai tramontata idea socialista degli anni sessanta. Allora bisognava orientate lo sviluppo. Oggi occorre frenare il sottosviluppo e ripartire. Penso che  a questo proposito occorrano, almeno per l’Italia, tre condizioni: l’abbandono di vocazioni pre industriali tipiche dei Cinque stelle (vedasi la follia dell’opposizione alla ferrovia Torino-Lione), la completa sburocratizzazione dello stato che ancora imbriglia la realizzazione di importanti opere già finanziate, un più deciso orientamento, non solo in Italia, ma nel mondo intero, verso la green economy. Anche le malattie, anche le epidemie possono essere il risultato di uno sviluppo sbagliato,  malato. Rilanciare gli impegni sulle emissioni di Co2, concepire l’ambiente, compresa una agricoltura sana ed equilibrata, come occasione di occupazione e di benessere oggi non é solo possibile, è necessario.