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Ritorno al futuro (terza puntata)

L’Europa politica, una Costituente per l’Italia

Mentre l’epidemia si abbatte, sia pure in diverse intensità, sul mondo intero, vanno ovviamente in crisi i sovranismi la cui principale contraddizione é l’esaltazione del far da soli e contemporaneamente la pretesa che gli altri contribuiscano a risolvere i problemi di ognuno. Contraddizione invero insanabile. Non può esistere infatti un programma comune dei sovranisti, visto che non esiste alla loro base il principio della sussidiarietà. Oltre alla crisi del sovranismo, oggi é tornata di grande attualità la questione del rilancio di un organismo sovranazionale e internazionale (avrebbe dovuto  essere quel che era La società delle nazioni e poi l’Onu), entità che oggi si trova paradossalmente al minimo storico di potere e d’influenza. Un organismo non solo di coordinamento, di iniziativa e di sanzione a livello di politica estera, ma anche capace di coordinare le principali decisioni degli stati in politica interna. Il primo passo per noi europei è la nascita dell’Europa politica. Senza bisogno di rifarsi ai pionieri dell’Europa, da Ventotene in poi, é risultato a tutti evidente che se gli stati sovrani non cedono potere l’Europa resterà aggrovigliata da una triade di istituzioni (Parlamento, Commissione e Consiglio) che ne hanno finora bloccato lo sviluppo. Primo passaggio potrebbe essere l’abolizione del Consiglio e l’elezione della Commissione da parte del Parlamento, magari con elezione diretta del suo presidente. Seconda necessità quella di avere un governo reale almeno su tre fronti: la politica estera, la politica fiscale e, anche alla luce di quanto é avvenuto con l’epidemia di coronavirus, la sanità. Il tema degli eurobond o coronabond, al di là della consistenza del finanziamento, starebbe a segnalare un primo approccio comune al disastro che ha coinvolto l’Europa tutta. Questo senza mettere in comune i debiti pregressi di ogni stato, ma affrontando insieme le conseguenze di un virus che non conosce frontiere. L’Italia deve mettere ordine nelle sue istituzioni che la lotta alla malattia ha evidenziato come confuse, ripetitive, a volte inutilmente conflittuali. Se l’obiettivo sono gli Stati uniti d’Europa, cioè um’Europa federale, a maggior ragione gli stati a loro volta federati dovrebbero attrezzarsi diversamente. L’Italia, stato federale d’Europa, può reggere un sistema regionale basato sul Titolo V della Costituzione, voluto dalla maggioranza dell’Ulivo in chiave antileghista, ma in realtà attribuendo alle regioni assai più potere di quanto non gliene attribuisse la proposta leghista bocciata al referendum? E’ possibile mantenere non solo una sanità organizzata in modo diverso a seconda del colore del governo regionale, ma anche un effluvio di materie concorrenti in cui la decisione deve essere concordata dal governo nazionale nella conferenza stato-regioni? Conferenza che spesso si risolve, dopo faticose e lunghe trattative, in una sorta di baratto compensativo? E’ possibile che non ci sia infrastruttura viaria, ferroviaria, insediamento produttivo, scolastico, assistenziale, sanitario, che non resti, uno solo, nelle mani del governo nazionale? Anche lo studio delle materie scolastiche é ormai di competenza regionale. E le Regioni appaiono oggi un enorme e costoso centro di potere senza essere riconosciuto come tale dal popolo. Non esiste una informazione regionale, giornali e televisioni sono prevalentemente provinciali, non esistono società sportive regionali, diocesi regionali, questure regionali, prefetture regionali. Si é scelto di creare un formidabile centro di potere senza storia e di superare le tradizionali province che hanno segnato il corso della nostra storia dall’Unità d’Italia in poi. Si sono introdotte le città metropolitane ma ancora non si vedono, mentre le cosiddette aree vaste restano sulla carta. I socialisti devono farsi promotori di un nuovo Titolo V della Costituzione, magari rispolverando la vecchia idea della Costituente, oggi tornata prepotentemente d’attualità anche alla luce di spinte che si affermano in taluni paesi tese ad abolire la cosiddetta democrazia liberale. E’ evidente che chi attacca la democrazia liberale attacca la democrazia. In questo caso l’aggettivo é indissolubilmente legato al sostantivo. Una democrazia illiberale é un sistema antidemocratico. La Costituente non dovrà solo ridisegnare i rapporto tra stato e regioni, ed eventualmente come noi abbiamo richiesto, reintrodurre l’elezione diretta dei Consigli provinciali, ma dovrà definire la forma di stato del nostro paese. In Italia siamo passati da una Repubblica all’altra senza aver cambiato Repubblica, ma solo la legge elettorale. Oggi siamo ale prese con una legge da sottoporre a referendum che taglia senza criterio il numero dei parlamentari senza minimamente toccare le competenze delle Camere. Un insulto alla logica e un prezzo che il Pd ha voluto pagare al populismo più scellerato. Ora é evidente che la legge elettorale, cosi come il sistema bi o monocamerale, dipende dalla forma di stato, se é presidenziale, il maggioritario, a uno o due turni, appare il sistema più adeguato (vedi la Francia), se é parlamentare, sia con o senza cancellierato, il sistema proporzionale appare il più coerente. Nel primo caso l’elezione diretta del presidente della Repubblica introduce di fatto un sistema bipolare, nel secondo il sistema parlamentare si porta seco naturalmente il rispetto delle percentuali introdotte attraverso il proporzionale. In Italia abbiamo ragionato, attraverso un maggioritario corretto, come se fossimo in un sistema presidenziale, cioè come se il governo o almeno il presidente del Consiglio venisse eletto direttamente dal popolo, ma non è mai stato così. Poi siamo tornati al proporzionale, con premio di maggioranza, come se la coalizione di maggioranza dovesse automaticamente trasformarsi in coalizione di governo. E per due volte consecutive non é stato così. Occorre riprendere il filo di una riflessione e di una decisione per dare coerenza, razionalità, efficienza ed efficacia, e oggi aggiungo due nuove parole, velocità e chiarezza, al nostro sistema istituzionale. E’ uno degli imperativi a cui ci rimanda questa terribile epidemia.