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La libertà in epoca di coronavirus

Si fa un gran discorrere sulla libertà in epoca di grave epidemia, come quella che stiamo vivendo. E giustamente si osserva che con le restrizioni e i controlli, i più rigidi che abbiamo mai conosciuto, si mettono in discussione i diritti di libertà delle persone, sancite solennemente dalle leggi dello stato. Ma dove finisce il nostro diritto di libertà? Ci appelliamo alla Costituzione. Ed é vero che la nostra carta, peraltro sulla scia di un anelito forte di libertà a seguito del ventennio fascista, é prevalentemente orientata alle garanzie, ai diritti e ai controlli democratici, e che perfino in caso di dichiarazione di guerra l’articolo 78 recita che vanno dati al governo i “poteri necessari”, dunque non i pieni poteri.

Resta il fatto che coloro che ritengono pienamente costituzionali i provvedimenti presi si riferiscono all’articolo 16: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce per ragioni di sanità e di sicurezza”. Dunque per motivi di sanità, un’epidemia, la stessa carta prevede possibili limitazioni alla libertà di movimento. Ma vado più in profondità e penso al concetto stesso di libertà. Che non é mai assoluta. Nel famoso dialogo filosofico ricordato da Oliver Wendell Holmes, docente, scrittore e umorista inglese, si precisa che se la libertà potesse essere assoluta sarebbe anche quella di sferrare un pugno sul naso dell’interlocutore. Così concluse che “la mia libertà finisce dove comincia il tuo naso”. Cioé la libertà in tempo di coronavirus finisce dove comincia il diritto dell’altro a non essere infettato. E la mia libertà non può costituire pericolo per nessuno. In questo senso, e coniugando così il valore della libertà col disvalore delle sue conseguenze, non trovo nulla di particolarmente illiberale nella sua restrizione e se si vuole, sostanziale sottrazione, in periodo di epidemia mortale. Ovvio che tutte queste normative, di forte restringimento della libertà individuale, con App che dovrebbero impadronirsi della nostra vita privata e che devono essere assolutamente distrutte alla fine dell’emergenza, lasciano un punto interrogativo, la risposta al quale é demandata alla fine della fase emergenziale. Chi garantisce la distruzione di tutti i dati personalizzati raccolti? Chi può, ancora prima, dichiarare la fine dell’emergenza e come verranno utilizzati questi dati durante la stessa? La fine dell’emergenza avverrà quando avremo azzerato i casi o quando arriverà il miracoloso vaccino? E se solo col vaccino dichiareremo sconfitta l’epidemia dovremo restare per quanto tempo ancora in questa fase di sottrazione di diritti? Sappiamo che oggi esiste un mercato di dati che viene venduto a caro prezzo a catene commerciali e industriali le quali poi agiscono con proposte di acquisto individuali. Chi ci garantisce che l’epidemia non sfoci in un baratto incontrollato gestito dai padroni del mercato globale? E ancora di più. Chi ci garantisce che la nostra vita futura non sia oggetto di incursioni e di controlli che minano, questo, sì, un diritto costituzionale alla libertà individuale trasformandola in una esistenza costellata da marchingegni per spiarci e ricattarci? E’ una domanda a cui non riesco a dare risposta se non con la più banale: lo Stato. Ma lo Stato cos’è? Un insieme di enti gestiti da uomini. E come insegna la storia di quel pezzo di stato che sono stati i nostri Servizi segreti non c’é da stare allegri. Orban ha di fatto abolito, sia pur transitoriamente, il Parlamento, Putin non comunica neanche dati credibili sull’epidemia, dopo avere cambiato più volte la sua Costituzione per assicurarsi una lunga permanenza al Cremlino, la Cina, che é all’origine di questo pandemia, continua ad essere uno stato totalitario, dove a un partito comunista unico si associa la più selvaggia delle economie capitalistiche. E anche un modello di garanzie di sicurezza e di salubrità alquanto scadenti. E che l’Oms non ha mai avuto il coraggio di denunciare, giustificando così la scelta di Trump, di sottrarle i corposi finanziamenti americani. Attorno a noi e dentro di noi emergono nuovi modelli autoritari, ispirati all’efficienza e alla velocità. Che il Parlamento italiano sia stato chiamato una volta sola ad affrontare i vari decreti, nella maggior parte dei casi, peraltro, dpcm, cioè decreti del presidente del Consiglio dei ministri, che non devono essere convertiti in legge dal Parlamento, la dice lunga sulla nascita di una tendenza discutibile anche da noi. Che tutto questo non diventi norma di comportamento istituzionale é compito delle forze democratiche garantirlo e dei cittadini pretenderlo. La fine del coronavirus nelle forme che verificheremo deve essere salutata anche come il pieno ritorno alla democrazia.