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Perché ancora Tobagi

Torniamo sul caso Tobagi, il giornalista del Corriere della sera, cattolico e socialista, barbaramente assassinato dalla banda 28 marzo, capitanata da Marco Barbone, il 28 maggio 1980. Non si tratta di celebrare, come da più parti é stato fatto, il quarantesimo anniversario di quell’orribile omicidio, uno dei tanti dei cosiddetti anni di piombo, consumato da una singolare sigla della variegata area del terrorismo rosso, formatasi poco prima del delitto.Si tratta di prendere atto della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, ribaltando completamente le sentenze dei tribunali italiani, ha assolto l’ex giornalista dell’Avanti Renzo Magosso e l’ex direttore di Gente Brindani, a proposito di una intervista che lo stesso Magosso fece a Dario Covolo, ex carabiniere, sul settimanale di Brindani e risalente al 2004, in cui si sosteneva che Tobagi poteva, anzi doveva, essere salvato. Nell’ambito dell’intervista, Dario Covolo ricordava che nel dicembre 1979 aveva trasmesso ai propri superiori, gli allora capitani Umberto Bonaventura e Alessandro Ruffino, l’informativa di Rocco Ricciardi, un infiltrato nei gruppi sovversivi, sull’esistenza di un gruppo che avrebbe voluto sequestrare o uccidere Walter Tobagi. Un’informativa di cui quest’ultimo non seppe nulla. Pochi mesi prima del suo omicidio Tobagi venne sottoposto a un tentativo di rapimento, non riuscito. Del rapimento nulla era trapelato. A quell’intervista ha fatto seguito una querela per diffamazione presentata da Alessandro Ruffino, nel frattempo diventato generale dei carabinieri in pensione, e dalla sorella del generale Umberto Bonaventura, nel frattempo deceduto. Tra il 20 e il 22 settembre del 2007 il tribunale di Monza condannò Magosso, Brindani e Covolo a pagare un’ammenda consistente, quale danno recato all’onore dei due ufficiali. Il 16 gennaio 2020 la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui i due giornalisti avevano fatto ricorso) ha invece assolto i due e condannato lo stato italiano a pagare le spese processuali e a sborsare 15mila euro a ciascuno dei giornalisti, perché ha ritenuto violato l’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo in materia di libertà di espressione. La cosa assume aspetti clamorosi, non solo perché, di fatto, la Corte europea condanna lo stato italiano in quanto non fedele a un principio fondamentale di una Convenzione europea, dunque sottoscritto anche dall’Italia in materia di libertà di opinione, ma nello stesso tempo, condannando l’Italia, accredita la versione dell’ex carabiniere Covolo e le evidenti responsabilità omissive dei generali Ruffino e Bonaventura, riportate nell’articolo di Magosso. Stiamo parlando di un delitto commesso da un 22enne figlio di un alto dirigente della Rizzoli, allora proprietaria del Corsera, di una vittima, che la sera prima di essere ammazzata, aveva subito duri attacchi ad una conferenza, tenuta al Circolo della stampa, da esponenti estremisti del sindacato dei giornalisti, come ricorda in un articolo recente pubblicato sullo stesso giornale Bianca Beria d’Argentine, figlia del famoso magistrato. Stiamo parlando di una fase in cui il Corriere della sera era guidato da un direttore iscritto alla P2 e di un delitto avvenuto dopo un tentato rapimento del quale nessuno aveva avuto notizia e dopo una notizia filtrata da un agente di sicuro affidamento e poi conferita ai propri superiori da un carabiniere senza che questi ultimi avessero mosso un dito. E soprattutto di un delitto che ha visto uno dei colpevoli, Marco Barbone, uscire dal carcere tre anni dopo, a seguito del suo pentimento, per non rientrarci mai più. Un delitto con molti, troppi punti interrogativi che un giornale come l’Avanti non può lasciare senza risposta. Per questo continueremo ad occuparcene.