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Staino e il ritardo storico della sinistra

Ho letto con vivo piacere l’intervista di Staino al Corriere della sera. L’autore di Cuore, inserto satirico dell’Unità,  con le sue feste in quel di Montecchio Emilia che riunivano migliaia di giovani infatuati dal mito della lotta alla vecchia politica, ha cambiato posizione. Come diceva Churchill “solo gli stupidi non cambiano mai idea”. E Staino é persona intelligente.L’inizio della degenerazione politica”, scrive Staino, “fu il lancio delle monetine contro Craxi all’hotel Raphael. Il primo atto veramente antipolitico… Da lì nasce tutto». Quel gesto ha prodotto «semplicemente, e amaramente, la distruzione della grande politica nata con la Resistenza. È esattamente quello che penso…». Staino va più in là e dichiara di avvertire imbarazzo per la soddisfazione provata allora. E aggiunge che quel gesto provocò la nascita di na cultura che prima ha consentito l’affermazione di Berlusconi e poi di Grillo. Prendiamo atto di una nuova e puntuale autocritica. E non da parte di un personaggio qualsiasi, ma di un uomo di punta della schieramento allora giustizialista. Si tratta per noi di un fatto da salutare positivamente, anche se con una punta di duplice amarezza. Prima di tutto dovuta proprio alle conseguenze citate da Staino che magari si potevano evitare se la sinistra, e in particolare il Pds, non si fosse attestata in quella acritica e supina subordinazione al potere giudiziario e in particolare al dipietrismo. Poi, per i ritardi cronici coi quali una parte della sinistra italiana, quella prevalente, riconosce storicamente i suoi errori. Pensiamo al rapporto, a noi sempre elettoralmente sfavorevole, tra Pci e Psi nel nostro Paese. Nel 1956 sull’Ungheria i due partiti si divisero. I socialisti si schierarono dalla parte degli insorti, i comunisti dalla parte dei carriarmati sovietici. Dopo trent’anni la revisione, e l’ammissione che Nenni aveva ragione e Togliatti torto. Poi il centro-sinistra e le riforme, compreso lo statuto dei lavoratori che il Psi volle e che il Pci non votò. Oggi si riconosce che la posizione giusta era quella di Brodolini e non di Longo. Poi, cito solo alcuni degli strappi tra i due partiti, i referendum su divorzio e aborto che il Psi di Fortuna affrontò con entusiasmo e che il Pci di Berlinguer voleva evitare. Oggi nessuno a sinistra pensa che le due leggi possano essere modificate. E il referendum sulla scala mobile del 1985. Con Craxi a difendere il decreto di San Valentino e il Pci mobilitato per la sua abrogazione. Si trattava di soli quattro punti in cambio di una riduzione del tasso di inflazione. La scala mobile fu poi abrogata nel silenzio più assordante della sinistra italiana e quel referendum giudicato un errore. Poi la guerra, nel 1991, dell’Onu a Saddam che aveva invaso il Kuwait. Occhetto si mobilitò in un rigurgito strumentale di pacifismo, ma D’Alema appoggiò qualche anno dopo la guerra in Kossovo senza l’appoggio dell’Onu. Fino a Tangentopoli e ai processi a Craxi, alla criminalizzazione dei socialisti, alle sconfitte della sinistra, che quando ha vinto ha dovuto sempre fare i conti con un’alleanza che gli ha impedito di governare, ai trionfi di Berlusconi e poi di Grillo e di Salvini. Oggi si matura una seria riflessione e una spietata autocritica sul giustizialismo e sulla condanna di Craxi. Tutto questo ci riempie di soddisfazione e anche di orgoglio, anche se di una cosa sono certo, e cioè che gli italiani apprezzano queste ammissioni postume. In fondo essere arrivati prima non ci ha portato molta fortuna.