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Duecento miliardi, bene, ma…

Si può ben dire che la soluzione individuata per il Recovery fund sia un compromesso tra paesi cosiddetti frugali (Olanda, Danimarca, Austria e Svezia, a cui si é aggiunta anche la Finlandia, e parliamo di due paesi, Svezia e Finlandia, governate dai socialdemocratici) e gli altri, alla testa dei quali si é posta per la prima volta la Germania di Angela Merkel, la vera protagonista del vertice. Cosa cambia rispetto alla proposta della Commissione? Non cambia l’ammontare previsto di risorse da mettere a disposizione che resta di 750 miliardi e questi per la prima volta verranno considerati debito comune (un bel passo avanti visto che si dovranno emettere obbligazioni. Se non siamo agli eurobond siamo a qualcosa che gli assomiglia molto). Ma cambia il rapporto tra risorse a fondo perduto e risorse da dare a prestito. Se originariamente si trattava di 500 miliardi di trasferimenti e di 250 miliardi di prestiti, il nuovo equilibrio raggiunto parla di 390 miliardi di soldi a fondo perduto e di 360 miliardi di prestiti. L’Italia vede erogati, in qualità di maglia nera dell’intera Europa in materia di previsione di Pil 2020, con un drammatico meno 11,2 contro l’8,7 della media dell’Eurozona, ben 208,8 miliardi con 81,4 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 127,4 miliardi a prestito. Se la quota dei trasferimenti resta invariata cambia parecchio quella dei prestiti, da 90,9 a 117,4 miliardi. I paesi frugali hanno poi concordato uno sconto sui cosiddetti rebates, i contributi che ciascun paese deve alla Ue, mentre resta piuttosto misterioso il tasso d’interesse agevolato che verrà praticato per questo prestito con scadenza trentennale. Così come restano ferme le rigorose condizioni cui dovrà soggiacere ogni paese che si avvarrà del fondo: la presentazione di un piano di opere, ma anche l’approvazione di alcune riforme, per l’Italia é sottolineata l’urgenza di un riforma della giustizia, la verifica triennale dello stato dell’opera, e infine, e questa è la novità che sta a cuore al leader olandese Rutte, l’istituzione di un freno d’emergenza, che può essere azionato anche da un solo paese attraverso un ricorso che poi il Consiglio dovrà esaminare. Il Consiglio, si badi bene, non la Commissione, come proponeva l’Italia. Cioè un organismo che decide all’unanimità. Ora si apre il dilemma Mes, perché in Europa, e non solo, nessuno capisce perché l’Italia che ha un tasso d’interesse sui prestiti superiore all’1% non colga la favorevole condizione offerta da un fondo che presta soldi, con l’unico vincolo di spenderli nel settore della sanità, a tasso negativo dello 0.07 se rimborsati in sette anni. Né si comprende perché l’Italia acceda con entusiasmo ai prestiti del Recovery fund senza conoscere il loro tasso d’interesse. E nemmeno perché contesti condizioni laddove non ci sono, nel Mes, e invece le accetti dove ci sono, e cioè nel Recovery fund. Le porte per usufruire di un forte sostegno europeo oggi sono tuttavia aperte. Sta adesso al governo e al parlamento italiani approfittarne. Troppe volte non siamo stati capaci di spendere risorse stanziate. Il Covid qualcosa ci dovrebbe avere insegnato scoperchiando tutte le nostre fragilità e l’inconsistenza dei governi degli ultimi trent’anni che hanno portato l’Italia, da grande potenza industriale mondiale, alla retrocessione al ruolo di Cenerentola dell’Europa unita. All’emergenza si risponda, se non si può con un governo di emergenza, almeno con comportamenti di tutti ispirati alla solidarietà nazionale. Si apre un nuovo capitolo in Europa e l’Italia deve mostrarsi finalmente all’altezza della sua funzione storica e strategica.