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Noi vivremo del lavoro?

2 Maggio 2021 547 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo
Quando Filippo Turati scrisse, su sollecitazione di Costantino Lazzari, le quartine di ottonari del testo dell’Inno dei lavoratori, pubblicato il 20 marzo su La farfalla, era il 1886. Proprio in quell’anno, il primo di maggio, a Chicago lavoratori in sciopero furono colpiti dalla polizia.

Ci furono morti e feriti. Dall’anno dopo, il primo di maggio venne dedicato ai lavoratori. Il partito socialista in Italia era ancora ben lungi dall’essere fondato e quella del 1 maggio del 1890 era ancora una festa vietata. In Italia con la parola d’ordine delle otto ore si organizzò l’astensione dal lavoro a partire dal 1891. E si cantò l’inno di Turati con quel ritornello “Noi vivremo del lavoro, o pugnando si morrà”, che poteva avere un duplice significato. E cioè che dobbiamo vivere del reddito del nostro lavoro, che il nostro onorario sia dunque sufficiente per vivere. Ma anche che il lavoro é un diritto, senza del quale nessuno può vivere. Oggi questa frase acquista un valore straordinario. Viviamo in un momento di acuta crisi, dovuta alla pandemia, ma già da anni il lavoro sfugge, sostituito dalla tecnologia e dalla conseguente diminuzione di molteplici attività, nonché da un mercato globale che abbatte i costi dei prodotti e dunque la potabilità di molte imprese occidentali, e dunque italiane. Così lo stesso articolo 1 della Costituzione che sancisce che la Repubblica italiana é fondata sul lavoro acquisisce sempre più un valore retorico. La battaglia per il lavoro si interseca oggi anche con quella per acquisire nuovi diritti da parte di categorie di giovani che devono rassegnarsi a un frustrante precariato, vedasi i famosi rider, e che di diritti non ne hanno neanche uno. A loro va la solidarietà dei socialisti e l’impegno perché costoro non diventino come i vecchi proletari delle origini. Il lavoro, un lavoro umano e libero, garantito e durevole, deve essere sempre assicurato. Quando c’è. Certo non può essere inventato se manca. Penso ai tanti artigiani, piccoli imprenditori, commercianti che in questo anno e mezzo non hanno potuto lavorare per i diversi lock down. Sono anche loro lavoratori con altri alle loro dipendenze e purtroppo i ristori hanno solo troppo parzialmente ridotto le perdite. Il concetto del lavoro deve essere dunque ampliato. Non solo esso deve riguardare le categorie dipendenti, pubbliche e private, ma deve coprire anche il lavoro autonomo, e oggi soprattutto quelle nuove forme di lavoro consentite dalla creatività e dalla moderna tecnologia. Quante attività autonome stanno oggi riprendendo? Quante sono destinate a chiudere per sempre? Nell’ultimo anno la crisi é stata pagata con un milione di disoccupati in più. L’Italia barcolla e il nuovo governo ha compiuto tre scelte coraggiose: l’apertura del paese con un rischio di aumento di contagi per far ripartire l’economia, una campagna di vaccinazioni massicce al ritmo, raggiunto ieri, di 500mila al giorno e la presentazione del piano di ripresa e resilienza alla Commissione europea entro il 30 aprile come promesso. Dipenderà dall’esito di queste decisioni il futuro del nostro Paese, della sua economia e dell’occupazione. Concludiamo con Turati 1886: “Su compagni, su fratelli, su marciamo in fitta schiera, sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir”. Quel sole che prima o poi, speriamo prima, ritornerà a splendere, certamente anche su di noi. Quel sole che in questa primavera ancora stenta a far splendere i suoi raggi.

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