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Uno, dieci, mille Draghi

Non so se a Mario Draghi sia stata fatta la promessa di sgomitare dalla presidenza del Consiglio, accettando le reprimende di Salvini, le impuntature dei Cinque stelle, i mezzi sorrisi del Pd, per poter poi più tranquillamente trasferirsi al Quirinale nei primi mesi del prossimo anno.Ho l’impressione che chi ha fatto questa scommessa abbia fatto male i conti. Mario Draghi e il suo governo di unità nazionale sono la miglior medicina, l’unico vaccino sfornato dall’Italia, per un paese in ginocchio, frustrato da un virus che ha seminato la percentuale di morti in rapporto ai malati più alta dell’intera Europa e una povertà sempre più accentuata, con un Pil calato l’anno scorso quasi del 9% (ma secondo i dati Istat é al 9,5%) e un milione di disoccupati in più. Sono perfino sorpreso che tutto questo non abbia generato, se non sporadicamente, tensione sociale e violenza. Draghi oggi é un punto d’appoggio autorevole, il più autorevole a disposizione, capace di rispondere alla pretenziosa Von der Leyen con parole d’un’altra epoca quali “per l’Italia ci vuole rispetto”. E soprattutto in grado di presentare in Parlamento, con tanto di scontata approvazione, il piano nazionale di ripresa e resilienza che mette insieme le risorse (circa 195 miliardi) stanziate dal Recovery, più altri 30 dal piano complementare e altri 26 di risorse aggiuntive, in un battibaleno e suscitando scarsi e rassegnati contrasti. Ha perfettamente ragione il presidente di Confindustria Bonomi quando ricorda che senza un intervento radicale sulle semplificazioni (in Italia il tempo medio per realizzare un’opera pubblica supera i dieci anni, quando va bene, cioè senza procedimenti giudiziari) la realizzazione delle opere previste dal piano non sarà possibile entro la data fissata, del 2026, dal Recovery plan. Di questo pare assolutamente consapevole il presidente del Consiglio che annuncia due riforme immediate: quella della giustizia, sia civile che penale, per accorciare i tempi dei processi, quella della pubblica amministrazione per semplificare tutte le procedure amministrative, abolendo, a quanto pare, il codice degli appalti. Alle riforme si aggiungono sei missioni. La prima riguarda digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura con 50 miliardi stanziati per investire nella tecnologia pubblica e privata rilanciando “cultura e turismo”, due settori fondamentali. La seconda missione è sulla rivoluzione verde e sulla transizione ecologica e “si occupa della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell’agricoltura sostenibile, dell’inquinamento”: 70 i miliardi stanziati. La terza missione riguarda “una rete di infrastrutture moderna, digitale e interconnessa”, con più 31 miliardi destinati. La metà é destinata al mezzogiorno. La quarta è su istruzione e ricerca per “sostenere la sua integrazione con il sistema produttivo”, a cui vanno quasi 32 miliardi. La quinta missione è destinata alle politiche attive del lavoro e della formazione, con fondi che superano i 22 miliardi. Qui sono previste misure specifiche per il lavoro femminile e giovanile, compresa la garanzia statale sui mutui per la casa. La sesta e ultima missione riguarda la salute, con due obiettivi principali: “rafforzare la prevenzione sul territorio e digitalizzare il sistema sanitario per garantire a tutti l’accesso alle cure”. Sono stanziati per questo 26 miliardi. Si tratta di un intervento epocale, che unisce risorse europee a risorse stanziate (e generalmente non spese) del governo italiano. Da qui al 2026 trascorreremo cinque anni di corsa anche se alcune opere, come la Salerno-Reggio Calabria, ferrovia ad alta velocità, sono previste in tempi più lunghi. Saranno cinque anni fondamentali per il futuro dell’Italia e anche dell’Europa, cinque anni che dovrebbero essere gestiti dallo stesso governo e dallo stesso presidente del Consiglio. Altro che Quirinale. Personalmente mi auguro anzi che Draghi presenti alle prossime elezioni una sua lista con questa proposta. E sfidi destra e sinistra a formulare un’ipotesi migliore. So bene che questo probabilmente non si verificherà. In Italia le cose logiche difficilmente prevalgono. Ma che senso avrebbe presentare un piano per la rinascita dell’Italia e poi lasciare ad altri la sua gestione. Col rischio che i buoni intendimenti e anche il prestigio conquistato cadano in mani sbagliate? So bene che Salvini e la Meloni non vedono l’ora di poter dare al paese un governo di destra. So bene che il Pd intende presentare la nuova coalizione coi Cinque stelle di Giuseppe Conte. So bene che in molti ritengono addirittura che un governo di unità nazionale corrisponda a una sospensione della democrazia. Balle. In Germania un governo del genere sopravvive da anni. E la Germania é il paese europeo tuttora trainante. Ad altri il compito di giocare con le formule e con l’interesse del paese. A noi, piccoli e quasi sempre ignorati, quello di indicare un orizzonte adeguato al futuro dell’Italia.