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Quando si ricorda un compagno

Emozione, partecipazione, condivisione di una storia e di una identità, affetto e stima per un compagno che ci ha lasciato da un anno. Questo insieme di sentimenti si respiraval’altra sera a Torino nel salone del Liceo Massimo D’Azeglio, che Giusi La Ganga aveva frequentato. E c’era anche il preside a dare il benvenuto. L’occasione é stata la presentazione del libro intervista a La Ganga a opera di Salvatore Vullo, uscita postuma. C’erano vecchi amici e compagni e c’era il fratello e anche il figlio di Giusi che sono anche intervenuti con poche parole uscite dalle loro bocche a stento e sotto il peso del dolore. Filippo, il figlio, é il ritratto di Giusi da giovane e giovane Giusi lo era quando, a 28 anni, assunse la guida della locale Federazione socialista fresco di laurea in Scienze politiche. E giovane lo era ancora, a 31 anni, quando la prima volta varcò il largo portone di Montecitorio, a suon di preferenze conquistate sul campo. E giovane lo era ancora, quando entrò a far parte della Direzione del Psi con l’incarico degli enti locali. E potrei continuare, ma mi fermo. Perché lui e molti di noi appartenevano a una generazione di socialisti pronti a mettere in ghiacciaia una laurea e a sacrificare una professione per la passione politica. In particolare nel Psi di allora, segnato dalla svolta del Midas, la missione che questi giovani si erano dati era di costruire una forza socialista democratica e riformista nelle dimensioni analoghe a quella delle formazioni europee socialiste, socialdemocratiche e laburiste. E di rendere così praticabile una democrazia dell’alternanza, superando l’immobilismo dovuto al fattore K. Questi giovani intendevano così non solo rendere un servizio al socialismo italiano, ma alla democrazia, superando l’anomalia di un partito eternamente al governo, la Dc, e di uno eternamente all’opposizione, tranne nei tre anni dell’unità nazionale, e cioè il Pci. Quei giovani, a cui dedico l’editoriale, sono stati colpiti da un evento di festa trasformato in tragedia e cioè dalla caduta del comunismo e dalla fine del Pci. L’ottantanove segnava una nuovo inizio per tutti. Questo non fu compreso e l’operazione politica che ha il nome di Tangentopoli ha fatto cadere il muro in Italia dalla parte sbagliata. Si sono dissolte le identità, la politica é stata concepita come un affare per dilettanti, il distacco tra le istituzioni e il palazzo é divenuto incolmabile. Oggi non c’é più nessuno che sia disposto a mettere in soffitta una laurea e a trascurare una professione per passione politica. Forse anche per questo a Torino c’era una aria di diffusa commozione. Perché quando un compagno se ne va viene meno anche un pezzo di quell’antica passione.