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La difesa di Conte

Dunque Conte verrà rieletto dopo l’invalidazione della sua prima elezione ad opera del tribunale che aveva accolto il ricorso dei suoi avversari. E si accinge alla più ipocrita delle sue battaglie: quella contraria all’innalzamento verso il 2% delle spese per la difesa. Ipocrita perché durante i suoi due contrapposti governi la spesa era aumentata da 22 a 25 miliardi di euro, contrariamente a quanto avvenuto nelle fasi precedenti.

Ma ipocrita anche perché questa idea tende solo a mettere in contrasto la sua corrente a quella di Di Maio e dei cosiddetti governisti che la proposta hanno già accolto. Questo strappo confligge peraltro anche con l’ordine del giorno approvato il 16 marzo scorso dalla Camera, senza suscitare proteste da parte dei Cinque stelle. Si tratta di un testo che impegnava il governo ad aumentare le spese per la Difesa fino al 2% del Pil. E questo era un impegno formalmente assunto già nel 2014 da tutti i paesi aderenti alla Nato e mai contraddetto da alcuno. Terza ipocrisia contiana é quella di mantenere il dissenso, vedremo cosa accadrà nel vertice di maggioranza convocato in serata, dove anche la Lega ha annunciato i suoi mal di pancia, ma di assicurare appoggio al governo continuando a mantenere la sua presenza nell’esecutivo. Come se un dissenso di questa natura fosse un intralcio di poco conto nel tragitto di un Paese. Non supererebbe soltanto la decisione dei ministri del Pdci del governo D’Alema che si recarono a Belgrado nel 1999 a solidarizzare coi bombardati dal governo di cui facevano parte. Resta un dato: il governo italiano oggi spende per la difesa l’1,6% del Pil, un livello simile a quello della Spagna e della Germania che ha però deciso recentemente di portarlo subito al 2%, ma nettamente inferiore a quello della Francia, il 2,1% e della Gran Bretagna, il 2,3%. La Grecia in percentuale, il 2,8%, é lo stato europeo che spende di più per la difesa. Gli Usa spendono il 3,7% e la Russia addirittura il 4,3%. Dunque l’Italia é uno dei paesi Nato che spende meno. Le stesse Repubbliche baltiche, la Polonia, la Romania oscillano tra il 2,1 e il 2,3%. Scandalizzarsi e gridare alla spesa bellica italiana come se fosse un incentivo a nuove avventure militari non sorprende neppure. Sconforta. Il fatto che questo avvenga nel mezzo della prima guerra in territorio europeo dal 1945 piuttosto mette in mostra le perduranti e confuse incertezze che si sono già riscontrate nel movimento Cinque stelle e nella Lega. Una volta si gridava “La Cina é vicina”. No, é molto più vicina l’Ucraina. Chiedetelo ai polacchi costretti a sopportare la tragedia del 1939 e dopo la guerra a stazionare fino al 1989, mentre in Italia ci crogiolavamo nel nostro benessere e nella nostra relativa libertà, nell’area del dominio assoluto dell’Urss. E chiedete loro se aumentare solo di qualche decimale le spese per la difesa rappresenti un sacrilegio. Certo questo deve ormai rientrare in un quadro di una nuova unità politica europea che si dovrebbe presentare anche all’interno della Nato come un’unica entità politica, con un’unica percentuale di spesa e con un esercito comune. Questo sarebbe il successivo, necessario, e oggi oltremodo indispensabile passaggio, alla luce della guerra scatenata ai nostri confini da un uomo, che non sarà un macellaio, ma un sanguinario certo sì.