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Falcone “solo” come Matteotti

Falcone come Matteotti. Titola così, “Solo”, il libro scritto da Riccardo Nencini. Solo, perché abbandonato nella sua strenua lotta alla mafia da coloro che lo dovevano difendere. Gli fu preferito Meli nella sostituzione di Caponnetto al Pool anti mafia che poi venne sciolto, poi gli fu anteposto Sica alla guida dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia. Era stato lui, Giovanni Falcone, a infilzare la lama nell’omertà mafiosa attraverso i pentiti e in particolare Tommaso Buscetta. Senza di lui la lotta alla mafia si sfuocò. il 21 giugno del 1989 Giovanni divenne obiettivo di un attentato presso la villa affittata per le vacanze, comunemente detto attentato dell’Addauria. Alcuni militari di Cosa nostra piazzarono un borsone con 58 candelotti di tritolo. Ma l’attentato fallì. Orlando, sindaco di Palermo, arrivò a dire Falcone l’attentato “se l’era fatto da solo”. Lo stesso Orlando dichiarò in televisione che Falcone teneva chiusi nei cassetti una serie di documenti sugli omicidi politici. La collaborazione di Falcone con il ministro della Giustizia Claudio Martelli suscitò polemiche aspre da parte di autorevoli esponenti di Magistratura democratica che lo amareggiarono non poco. Il 15 ottpbre del 1991 Falcone fu convocato davanti al CSM che lo aveva privato per due volte di nomine che gli spettavano e si dovette difendere dalle infamanti accuse di Leoluca Orlando. Come direttore dell’ufficio Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia Falcone fu promotore dell’istituzione della Procura anti mafia. Grazie alla decisione della rotazione degli incarichi nell’assegnazione dei processi di mafia il maxi processo non fu assegnato al giudice ammazzasentenze Carnevale, ma alla sesta sezione della Corte presieduta dal giudice Arnaldo Valente che confermò, il 30 gennaio del 1992, il teorema Buscetta. Le condanne non influirono sui veti e i veleni.  Il 24 febbraio 1992 il CSM votò per eleggere il procuratore anti mafia e impallinò ancora Falcone preferendogli Agostino Cordova. Solo, come Matteotti, la mafia poteva colpirlo più agevolmente. Eravamo alla Camera per eleggere il presidente della Repubblica e da due settimane era fumata bianca. Il sabato ritornammo a casa per poter rientrare il lunedì. Ma sabato pomeriggio, 23 maggio 1992, apprendemmo della strage di Capaci. Assassinati Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Montinaro, Schifani e Dicillo. Sulla strada da Punta Raisi a Palermo era spuntato un cratere. Il pianto fu generale, in parte lacrime dai coccodrillo. L’esaltazione postuma di Giovanni Falcone fu opera di quelli che lo avevano delegittimato. Martire della lotta alla mafia. Ma i suoi detrattori in vita potevano almeno tacere dopo la sua morte.