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Sergio Moroni, trent’anni fa

Un uomo piccolo, ma grande per rigore e coerenza, il 2 settembre del 1992, si sparò nella sua cantina esplodendosi un colpo di fucile alla gola. Si chiamava Sergio Moroni. Era un dirigente e deputato del Psi di Brescia. Era stato raggiunto da un paio di avvisi di garanzia per finanziamento illecito al suo partito.

Lo ammise precisando di non essersi mai tenuto una lira per sé. Era stato letteralmente sommerso da una scia di accuse alle quali non si sottrasse neanche qualche dirigente del suo stesso partito. Un avviso di garanzia era una condanna preventiva e chiunque ne fosse stato oggetto doveva essere condotto al rogo come le streghe del medioevo. Moroni aveva appena scritto una lunga lettera al presidente della Camera Napolitano in cui metteva in guardia dal clima da pogrom che si respirava e da un giustizialismo che, proprio perché alimentato da un’azione parziale e anche strabica, poteva mettere a rischio lo sviluppo della nostra democrazia. Si può ben dire che il gesto di Sergio (che ricorda nell’espressione le ultime parole lasciate nel suo diario da Cesare Pavese “Un gesto. E non scriverò più”) oltre a dimostrare la sua coerenza fu a sfondo politico. Un suicidio di denuncia di un contesto malato e dei problemi a cui l’Italia sarebbe andata incontro. Un intero sistema politico, scrisse Sergio, che aveva portato l’Italia a divenire una democrazia matura, é stato messo al bando e con esso partiti con radici ideali insopprimibili. Lo ammetterà più tardi lo stesso Saverio Borrelli affermando: “Non valeva la pena buttare a mare il vecchio mondo per cadere in quello attuale”. E tuttavia vi fu chi subito dopo la tragedia di Moroni si avventò a sostenere che Sergio si era ammazzato per vergogna. La vergogna per costui la avvertiamo ancor oggi noi. Non si può essere così privi di senso della pietas umana e indossare una tunica che permette di decidere sulla vita dei cittadini. Per Sergio, per ricordare la sua vita e la sua azione politica, il già segretario del Psi bresciano Roberto Bianchi ha promosso, il 16 settembre con inizio alle 20 e 30, una lettura di scritti, nell’ambito di un testo che lo vede nei panni di autore e interprete, al teatro Colonna di Brescia (via Chiusure 79/c) col titolo “La morte di un parlamentare della Repubblica italiana”. I socialisti e non solo quelli bresciani sono invitati per testimoniare la stretta attualità di un ricordo che non si potrà mai cancellare. Al pari di una ferita che non si può rimarginare.