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Il reddito elettorale

Non ci vuol molto a capirlo. L’avanzata dei Cinque stelle, rispetto ai sondaggi di qualche giorno addietro, é dovuta principalmente al reddito di cittadinanza. Ne usufruiscono 2 milioni e mezzo di persone (che ne abbiano tutte realmente bisogno é lecito dubitare), che vuol dire 7-8milioni di voti potenziali, se pensiamo alle famiglie di chi lo percepisce (mamma, papà, parenti vari). Non a caso Conte é stato salutato in Sicilia come “papà del reddito”.

Questo diventa un vero e proprio reddito elettorale, soprattutto a fronte delle posizioni di chi lo vuole eliminare o profondamente mutare. Sia ben chiaro: una misura minima di stampo assistenzialista é giusta, ma il Rei esisteva già col governo Gentiloni. Si poteva incrementarne la ridotta entità. Invece si é inventato un nuovo modo con l’illusione di sconfiggere la povertà e ad un tempo la disoccupazione. Si é messo in moto un complicato meccanismo, governato dai navigator (anche qui decine di migliaia di assunzioni a carico dello stato che incrementano ulteriormente il reddito elettorale) nella convinzione che l’economia evolvesse seguendo la logica dell’ingegneria politica e non le leggi sue proprie dello sviluppo. Il movimento non vuol cambiare di una virgola la legge salutata da un balcone. Non vuole eliminarne storture, controindicazioni, privilegi, esaminarne fallimenti. Sic et simpliciter la legge non si tocca. E si capisce. Se il movimento Cinque stelle ottiene, come avvenuto in occasione delle precedenti elezioni, la maggior parte dei suoi voti al Sud questo conferma l’assunto. Mi chiedo infatti che altra ragione ci sia per votare i Cinque stelle. Se per la Meloni vale il fatto di essere stata per cinque anni all’opposizione, e si tratta di un merito di relativa verginità politica, non si capisce il senso di un merito contrapposto, cioè quello dei Cinque stelle che invece sono stati per cinque anni interrottamente al governo, e con tutti tranne proprio la Meloni. Il reddito sopravanza e annulla tutte le contraddizioni. Ma esiste, in misura minore, un secondo motivo dell’ascesa, peraltro politicamente incomprensibile, del movimento di Conte. Riguarda il voto in uscita dal Pd, che si trova così nella paradossale condizione di non far valere il voto utile in un panorama di liste proporzionali (che resiste a un sistema elettorale sostanzialmente maggioritario), ma di drenare voti nella doppia direzione, dei Cinque stelle e del Terzo polo. Cioè di disarticolarsi in chi é propenso a contestarlo come troppo a destra e troppo a sinistra. Poteva recuperare i Cinque stelle in un’alleanza elettorale? La politica non é l’aritmetica. Due più due può far sei ma più frequentemente ha fatto tre. Quelli che sono più a sinistra avrebbero virato verso altri lidi, vedi De Magistris, e quelli che sono più a destra avrebbero ulteriormente ingrassato il Terzo polo. Sarebbero forse rimasti quelli del reddito e non sarebbero rimasti in pochi. Il reddito elettorale produce consensi. Come una volta le scarpe di Lauro a Napoli. D’altronde perché stupirsi se perfino quella vecchia volpe di Berlusconi ha dichiarato che il reddito di cittadinanza non si tocca (aggiungendolo alla girandola delle minime a mille euro, delle tasse dimezzate e delle dentiere gratis per i vecchi). Se si tratta di incoronare il miglior venditore nessuno é come lui, anche se, sondaggi alla mano, il suo fascino di prestigiatore da circo appare un tantino annebbiato.