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I miei due incontri con Craxi ad Hammamet

Chiamai Craxi al telefono e la telefonata finì sui giornali. Ero forse intercettato anch’io visto che Bettino era in terra straniera. E la magistratura italiana nulla poteva. Era il 1995 e da un anno il Psi non c’era più, assieme a tutti i partiti della “cosiddetta Prima repubblica”, in realtà, sarebbe meglio dire “del vecchio sistema politico”, spazzato via dalla svolta dell’89 e poi dal combinato disposto della rivoluzione giudiziaria e dell’introduzione del sistema maggioritario. Decisi di andare a trovarlo. Lui gradì anche se nel 1992 avevo preso le distanze dalla sua politica. Avrei dovuto farlo prima e non dopo le elezioni e in piena burrasca. Pensavo che mentre tutto cambiava a una velocità così impressionante noi fossimo troppo fermi, lanciando verso i comunisti la giusta prospettiva dell’unità socialista senza scaraventargliela addosso, troppo dolcemente dunque e senza inserirla nella loro carne e nel loro destino. Senza posargliela sul piatto subito e senza subordinate, ritenendo invece che fosse solo una prospettiva del futuro, una sorta di sol dell’avvenire che poi non ho mai capito bene cosa mai fosse. Avevamo avuto tempo tre anni, dal 1989 al 1992, un triennio trascorso progettando il ritorno di Bettino a Palazzo Chigi come se la situazione politica italiana fosse imbalsamata. E invece stava crollando tutto. Il primo segnale venne dalle regionali del 1990 che segnarono un’imprevista e generalizzata avanzata della Lega in tutto il Nord. Il voto, senza comunismo e Pci, si era liberato. Si poteva votare non più per fede ideologica o per paura, turandosi il naso, come diceva Montanelli, ma per interesse. La Lega fu il primo fenomeno della disintegrazione politica. Poi i referendum di Segni. Quell’”andate al mare” di Craxi che suonò da incentivo a recarsi alle urne nel 1991 per la preferenza unica e poi l’annuncio del referendum sul maggioritario. In mezzo la semi crisi del governo Andreotti e la voglia di elezioni scontratasi con l’impossibilità di tenerle forse per non intralciare il cammino di consunzione e resurrezione degli ex comunisti. Infine Tangentopoli che come una grande scopa spazzava via con lenti strabiche evidenti quel che era rimasto. In quell’occasione ritornai craxiano com’ero sempre stato fin da ragazzo e com’erano sempre stati Martelli e Formica che pure avevano preso le distanze dal nostro leader assieme a me. Mi sembrava assurda e fuorviante quella campagna di stampa e di opinione pubblica che con una violenza inammissibile (il cinghialone di Feltri) tratteggiava Craxi come un criminale, la fonte principale di tutti i mali italiani. Era evidente la natura politica di questa tendenza che si serviva di indagini a senso unico, di processi fasulli e di sentenze immotivate, le due definitive su Craxi (Eni-Sai e Metropolitana milanese) basterebbe la lettura del libro di Nicolò Amato per definirle tali. Più in generale mi aveva colpito la forza del suo carattere, un misto di stoicismo e di atavica insofferenza, che non lo faceva mollare mai. E quel discorso alla Camera in cui chiamò tutti a giurare quel che non potevano giurare alzandosi in piedi. E nessuno si alzò in un clima di silenzio verità. E quell’uscita dal Raphael circondato da esagitati con lui che non voleva indietreggiare mai. Anche a Bologna, nel 1990, al congresso del Pci, mentre eravamo a cena, disse così al Questore di Bologna che trafelato gli consigliò di uscire da dietro perché all’ingresso si erano radunati dei giovani contestatori. Bettino guardò il questore e gli rispose alzando il dito verso la direzione dell’ingresso principale. Non sapeva indietreggiare. Mai. Pensavo che il caso Craxi ci coinvolgesse tutti. E che se ci arrendevamo all’idea che il nostro leader politico non era altro che un volgare “Gamba di legno”, come ormai anche Forattini lo tratteggiava su Repubblica, allora tutta la nostra vita doveva essere cancellata. La vita politica che era gran parte della vita vissuta. Eravamo entrati in una tragedia in cui il protagonista era votato alla morte. Ad Hammamet Craxi mi accolse nella sua casa, descritta enfaticamente come un castello. Era uno stabile a qualche chilometro dal mare, ampio ma con stanze normali e una piscina esterna di una decina di metri di lunghezza. Mi fece visitare il suo luogo di lavori preferito, era una sorta di loculo in cui pitturava vasi. Faceva colare su di essi una vernice di tricolore e li chiamava “L’Italia che piange”. Poi si dilettava a una serie di ritratti o foto di uomini politici italiani definendoli “becchini”, con un carattere nero scritto da lui. La mostra sui becchini sarà esposta a Roma e presentata da Giulio Andreotti che definì il mestiere del becchino quello “che non va mai in crisi”.  La sera Craxi mi invitò dal suo amico ristoratore. Eravamo da Chez Achour. E alle pareti ritratti di monsieur le president Bettino Craxi. C’erano anche Anna e Stefania che non mi aveva ancora perdonato l’eresia martelliana. Non ricordo se fu in quel primo o nel secondo incontro che, anche su mia sollecitazione, mi propose di vederci in una ventina ad Hammamet e che avrebbe cercato un luogo per le riunioni. L’idea di una direzione all’estero come quella del Psi degli anni trenta era molto coinvolgente, ma irrealistica. Presidente del Consiglio era già stato il suo amico Silvio Berlusconi. “Hai presente”, mi confessò “io all’estero o in galera e Berlusconi, che é stato il più grande finanziatore del Psi, alla presidenza del Consiglio? La falsa rivoluzione italiana ha prodotto questa evidente distorsione. E poi, i processi, ma se continuano a condannarmi mi daranno l’ergastolo. L’ergastolo per finanziamento illecito e reati connessi. Un reato che hanno commesso tutti e che devo pagare solo io moltiplicato per cento”. Aveva ragione. Un bimbo, quando con un mio amico che mi ero portato da Reggio passeggiavamo per il lungo mare dove é ubicata la Medina, un centro commerciale e turistico incantevole, con minuscole viuzze dense di venditori di tappeti e tappetini, di coltelli e di bicchieri e di mobili e di tutto quel che vuoi cercare mentre dappertutto ti offrono the verde, un bimbo ci riconosce come italiani e ci parla, lui, di monsieur le president che gli ha fornito i soldi per i denti, che gli erano stati tolti. E lui gli era grato. Un semplice atto di generosità tra i tanti di un uomo trasformato in mostro in patria. La sera in Tunisia a settembre cala lenta e avvolgente mentre il mare s’increspa e si illumina per contrasto. In centro e sul lungomare nessun segno di islamismo. Nessun burka, pochi veli e ragazze in minigonna. La Tunisia degli anni novanta era un paese europeo. Oggi non é così. Quelle due volte non furono le sole ad Hammamet. Tornai al funerale e altre volte per le ricorrenze. Seppi che Bettino era stato operato in un ospedale militare dove era venuta a mancare la luce e un infermiere illuminava con una lampada a mano il suo corpo denudato per un difficile intervento di asportazione di un tumore. Anche da questo episodio si può desumere l’alta sproporzione esistente tra reati ancora da decifrare e pene, dall’insulto allo sputo, come cantava De Andrè, al cinico e spietato diniego al suo ritorno in patria solo per operarsi, se non in stato di detenzione sentenziò il Pool, al paradosso del presidente D’Alema che propose alla sua famiglia i funerali di stato. Funerali di stato per un latitante. Cos’é mai questa? Una compensazione? Un ammissione di colpa? Un’ipocrisia tutta italiana. Mai un presidente del Consiglio é stato sottoposto a un simile trattamento. Solo Mussolini ha avuto di peggio. Fucilato ed esposto a testa in giù. Ma Craxi era un democratico dalle sette cotte, come amava definirsi e la sua patria non l’ha mai tradita. Anche se a lui era ben radicato quel senso di umana pietà, anche verso i fascisti e anche verso Mussolini, che non era presente in altri che lo volevano morto. Quel senso di pietas che da sempre contraddistingue i socialisti riformisti e umanitari. Quella violenza e quella impietosa canea popolare che lo ha impalato ne ha in fondo fatto una sorta di nuovo martire degli anni della falsa rivoluzione. E i martiri, anziché i falsi rivoluzionari, vivono ancora. Almeno nel cuore di molti.