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I quadrunviri

Sono quattro i candidati alla segreteria del Pd che seguirà il suo tortuoso itinerario congressuale. Prima consultazione tra i circoli, poi primarie aperte e poi proclamazione congressuale. Il solo vantaggio degli iscritti é che non dovranno sborsare i due euro che si richiedono ai non iscritti, anche se costoro l’iscrizione l’avranno certamente pagata di più.
Si fronteggiano quattro candidati anche se non quattro posizioni politiche. Se non ho capito male non ci sono soverchie differenze tra Bonaccini e la De Micheli, e così tra Cuperlo e la Schlein, ma forse non ho capito bene io.

In tre, Bonaccini, Cuperlo e la De Micheli, forse anche lei, sono iscritti al Pd dalla sua fondazione che proclamò Veltroni leader al Lingotto, mentre la Schlein é iscritta da quando si é candidata. Anzi si é iscritta per candidarsi. Più nuova di così. Inedita.

Bonaccini e De Micheli sono stati renziani e prima bersaniani come la maggioranza del Pd, Cuperlo renziano non é stato mai, e bisogna dargliene atto. Anzi il delicato e misurato esponente della sinistra interna ebbe il coraggio di sfidare Renzi quando il Matteo fiorentino imperava. E la Schlein non era pervenuta.

A occhio Bonaccini, il super favorito, ha l’appoggio dei sindaci e dei pochi presidenti di regione rimasti (De Luca ed Emiliano) e di Area riformista, ex renziana, capitanata da Lorenzo Guerini, la Schlein della sinistra di Orlando, ma anche di Zingaretti e di Franceschini, ma parte dell’area di quest’ultimo, Fassino in testa, appoggerà Bonaccini. La De Micheli e il povero Cuperlo di nessuno o quasi.

Politicamente vediamo le differenze. Tutti e quattro parlano di “riportare il Pd tra la gente”. Quale gente non si sa. Quelli più a sinistra vorrebbero portarlo nelle periferie delle grandi città dove il Pd, partito della Ztl, ma ormai neppure di quella, non prende un voto. Vorrebbero allargare tutti e quattro il “campo largo” di Letta che si é rivelato troppo stretto. La Schlein guarda solo ai Cinque stelle escludendo il terzo polo, Bonaccini invece vorrebbe allargarlo ad entrambi. Impresa titanica dal momento che entrambi si escludono a vicenda. Cuperlo e la De Micheli non pervenuti.

La Schlein vorrebbe abrogare il Jobs act e ripristinare l’articolo 18, e con lei il partito tornerebbe alla storica sconfitta referendaria del 1985, mentre Bonaccini vorrebbe solo parzialmente modificarlo. Lei é riluttante a inviare armi all’Ucraina, Bonaccini, pur augurandosi un negoziato che porti alla pace (e chi non se lo augura, ma su quali basi non si dice mai), appoggia la resistenza ucraina anche dal punto di vista militare. Il Pd ha votato su questo a favore del governo. Anche se non tutto. Ma c’é una sola cosa che unisce sto partito?

Ah, dimenticavo. Il nome. Perché il partito si avvale oggi del risucchio di Articolo 1 che con Speranza in sella e Bersani e D’Alema non si sa, son tornati al paesello (ovvero la Ditta di bersaniana memoria). Pare di essere rimbalzati al 1990 quando il Pci divenne “la cosa” prima di assumere, nel 1991, il nome di Pds, poi nel 1998 di Diesse, poi nel 2007, con l’unificazione con la Margherita, di Pd. Qualcuno, il sindaco di Bologna Lepore, ma anche la Schlein non l’ha escluso, propone di battezzarlo Partito del lavoro. Osservo due cose. Che prima di nominarlo così avrebbe bisogno di avere il mondo del lavoro con sé, come accade in Gran Bretagna coi sindacati storicamente a supporto del Labour, ad esempio. E poi un’altra osservazione. Tra tutti i nomi é sempre escluso quello storicamente più idoneo e usato da pressoché tutti i partiti europei dell’area progressista. E cioè partito socialista o socialdemocratico. Ma l’abbiamo usato noi in Italia dal 1893, l’anno dopo la fondazione del Partito dei lavoratori. Leggo che col cambio si pensava di assumere un’identità precisa. Quella che ancora manca al Pd che non riesce neppure ad assumere il nome che venne meglio specificato l’anno dopo la nascita. E continua con un nome americano che in Europa é sconosciuto. E questa non é solo una scelta formale.