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Da Monaco a Parigi

18 Febbraio 2025 100 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il momento più idoneo per anteporre il principio liberale a quello della nostra storica identità socialista é questo. Non solo perché i due terzi del mondo vivono in regimi autoritari, militari, a partito unico, autocratici, religiosi, ma perché una parte di paesi storicamente liberali sono orientati a rinnegare le proprie radici e le proprie funzioni. Non parlo, per restare in Europa, del sarcasmo col quale il presidente ungherese parla di liberaldemocrazia imitando il suo amico Putin, e neppure del suo omologo slovacco. E non parlo neppure del presidente turco Erdogan che continua a perseguitare il dissenso e la libertà di stampa, imprimendo al sistema i caratteri dell’islamismo. Penso all’America di Trump e al suo disprezzo nei confronti di tutti i contrappesi di uno stato liberale (l’Alta corte, le sentenze dei tribunali, la coerenza cogli ideali che sono alla base della civiltà occidentale e la solidarietà coi paesi aderenti all’atlantismo, l’interesse economico come unica spia della sua politica estera). Resta l’Europa, l’Europa che ancora fatica ad esistere, l’Europa che arranca, l’Europa che si divide. Dopo la Conferenza di Monaco, che si é svolta dal 14 al 16 febbraio nella città bavarese sulla sicurezza e che ha coinvolto molti leader mondiali, é rimasta la conseguenza di una duplice umiliazione: la notizia che l’Europa non sarà invitata alle trattative per la pace in Ucraina alla quale sarà invece invitato (bontà loro) Zelensky, nonostante per la difesa dell’Ucraina l’Europa abbia speso più dell’America, e il discorso di Vance che, come del resto Musk, ci ha insegnato che la democrazia consiste nel non marginalizzare l’Afd, il gruppo estremista di destra che considera Hitler (questo ha detto la sua leader) “un comunista che odiava gli ebrei”. Alla vigilia delle elezioni tedesche, dopo l’assist di Musk all’estrema destra, é venuto anche quello del vice presidente americano. Macron ha capito che bisognava reagire e ha convocato, lui e non la Von der Leyen, un incontro europeo a Parigi. Per il presidente francese esiste il pericolo di un’internazionale reazionaria (l’ha definita così) a cui occorre contrapporre evidentemente un’internazionale liberaldemocratica. Non credo che, dopo l’affondo di Draghi, si sia parlato tanto di dazi, quanto della necessità di una risposta politica europea. Sull’invio di truppe europee per la garanzia degli ucraini dopo l’accordo di pace, si é registrato il consenso della Gran Bretagna di Starmer, che della Ue non fa più parte ma che era stato ugualmente invitato all’incontro escludendo l’Ungheria che dell’Europa fa parte (per evidenti ragioni politiche). La Germania, in clima pre elettorale, non vuole sentirne parlare, l’Italia della Meloni i soldati li invierebbe solo in accordo con Trump. La Von der Leyen ha annunciato che l’inderogabile aumento delle spese militari verrà espunto dal patto di stabilità e se questo avverrà sarà un bene. Tra Monaco, ahi che precedente con quella conferenza di pace del 1938 che sancì l’inizio della guerra, e Parigi, con Macron che ha svolto il ruolo di presidente dell’Europa unita, senza esserlo e senza che l’Europa sia unita, il mondo si trova in una situazione di possibile trapasso ad un ordine nuovo. Un sistema di relazioni che si delinea con tre superpotenze che si riconoscono a vicenda (parlo di America, Cina e Russia) il diritto di offendere chiunque e di conquistare paesi liberi (quando Panama, quando Taiwan, e quando Moldavia e Georgia?), col medio oriente decisamente in mano alla destra israeliana che può fare dei palestinesi ciò che vuole, magari regalando Gaza agli americani, e con l’Europa debole e divisa incapace di svolgere un ruolo internazionale, di armarsi (ma le armi servono per una politica comune) e di unirsi come un unico stato sia pur federale e con un leader che parli a nome di tutti. Se questo ormai evidente disegno anti europeo verrà dispiegato ulteriormente l’Europa, se non si sveglierà in pochissimo tempo, correrà il rischio politico di ulteriori divisioni, tra chi sarà filo trumpiano aspettandosi ricompense, chi sarà ancora rigorista rifiutando debiti comuni, chi sarà più preoccupato per ragioni geo politiche della tendenza imperialista russa. Se sarà così e se non si capirà che le singole nazioni europee, soprattutto in questo delicato momento storico, divise sono nulla, potremo recitare un de profundis alle aspirazioni di tanti nobili pionieri. E rassegnarci a divenire vassalli di una potenza che con le buone, l’accettazione della subalternità, o con le cattive, la guerra, ci insegnerà a rimanere deboli.

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