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Quale socialismo oggi e domani (prima puntata)

29 Maggio 2025 95 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

In un editoriale sul Corriere Sabino Cassese rimpiange l’esistenza dei partiti. Precisa che il rimpianto si riferisce ai partiti storici che al ricorso ad ideali comuni sommavano anche una funzione sociale di formazione culturale e politica dei loro aderenti. In una recente conferenza pubblica lo scienziato Guido Tonelli, co protagonista della scoperta del bosone di Higgs, o particella di Dio, sostiene che le radici anche nella ricerca scientifica sono imprescindibili per prevedere il futuro. Dunque rileggere il passato, e fare storia, dovrebbe essere utile per costruire una prospettiva. Ma la verità é che, solo in Italia, l’ottantanove, sommato alla falsa e conseguente rivoluzione giudiziaria, i partiti storici se li é portati via. Tutti, dal Pci, al Psi, alla Dc, al Msi. E sono stati sostituiti da movimenti elettorali senza identità e da un’oligarchia politica, spesso monocratica, che nomina il Parlamento, i governi regionali, le giunte comunali, senza offrire margini di scelta all’elettorato. In questo contesto, di proliferazione di sigle senza radici, ha ancora un senso parlare di socialismo? E di quale, poi, visto che la storia del socialismo é stata caratterizzata da tante variazioni che non é possibile offrirne un racconto se non conflittuale? Delimitiamone allora il confine a quello riformista e liberale, il solo che ne ha preservato l’agibilità a fronte dei fallimenti e delle tragedie a cui sono andati incontro gli altri socialismi nel secolo passato. Ma chiediamoci se anche questa versione del socialismo può essere adottata a fronte di un mondo che si rifugia nei nazionalismi smentendo la previsione che alla globalizzazione economica avrebbe fatto seguito una globalizzazione politica, un mondo che mette in discussione lo stesso modello liberaldemocratico, la base su cui costruire una moderna socialdemocrazia, orientandosi sempre più verso forme autarchiche se non verso vere e proprie dittature, che fa ricorso alle guerre con milioni di morti, che ha cambiato se stesso, almeno in occidente, trasformando e segmentando sempre di più le classi sociali, che si sta trasformando tecnologicamente con l’introduzione di quella che un filosofo popolare chiama “la dittatura della tecnica”.  Evidente che nessuno possa pensare di rentrodurre vecchi dogmi per giustificare il socialismo. La lotta di classe? Ma di quale classe se quella operaia é divenuta una esigua minoranza? La classe dei lavoratori? Ma quali lavoratori? Quelli dipendenti? Cioè il socialismo dovrebbe rappresentare gli interessi anche dei manager di stato, dei docenti universitari, dei primari, dei direttori degli organi d’informazione che sono, anche loro, lavoratori dipendenti? E non delle partite iva, degli artigiani, dei commercianti, dei tecnici, degli imprenditori che sono autonomi? Togliatti, nella costruzione del Pci come partito di massa, operò una svolta nel 1946, non condivisa dal socialista massimalista Lelio Basso, e lanciò in Emilia il dialogo coi ceti medi. Ma oggi cosa sono i ceti medi? Dai dati Istat, in un’Italia che non si riesce a censire con esattezza a causa della vasta evasione ed elusione fiscale, si é passati dalla progressiva terziarizzazione a quella che l’Istat definisce la demediocetizzazione, cioè alla crisi di questo ceto, o alla sua crisi parziale. Oltretutto risulta che i ceti medi sarebbero costituiti secondo la denuncia dei redditi anche dai gioiellieri, dai dentisti, da una vasta pletora di imprenditori che guadagnerebbero solo quanto serve per vivere. E’ credibile? La mia opinione é che nella società italiana, ma ritengo che la stessa cosa si possa dire per tutta l’Europa, per tutto l’Occidente, non si possa più ragionare per classi e che dunque un socialismo classista sia decisamente fuori dal mondo. Se, come disse Nenni, il nostro compito “é portare avanti chi sta indietro” occorre innanzitutto farsi carico del bisogno di chi soffre la povertà. Sempre seguendo il rapporto Istat del 2024 il 23,1% della popolazione italiana é a rischio povertà o esclusione sociale. Qui più che alle classi sociali bisogna pensare alle situazioni. Un conto é una persona non sposata che guadagna 1300 euro al mese, un conto é una persona che guadagna 1300 euro al mese, con moglie che non lavora e un figlio o due a carico. Nel primo caso si tratta di una condizione accettabile, nel secondo di una condizione a rischio povertà. Ma la vera emergenza italiana é costituita dai bassi stipendi, fermi addirittura da vent’anni e che tra il 2019 e il 2024 hanno perso il 10,5% del loro potere d’acquisto. Questo dipende in parte dalla bassa produttività italiana, la più bassa rispetto ai grandi paesi europei, ma anche da una contrattazione sindacale che ha sempre considerato i salari subalterni ai cosiddetti diritti, vedasi i referendum della Cgil, e che tuttora considera la legge approvata su pressione della Cisl che propone l’associazione dei lavoratori, sul modello tedesco, nei consigli aziendali (dunque anche per la discussione sui salari) come un’ipotesi da scartare. Insisto su questo punto, perché i riformisti che accettano l’economia di mercato devono inserirvi momenti di partecipazione, di programmazione (la fase del primo centro-sinistra era impostata su questo strumento), di rilancio. Anche l’emergenza dei giovani e del lavoro femminile (siamo su questo la Cenerentola in Europa) deve trovare un posto rilevante nel nostro socialismo. L’occupazione e la qualificazione del lavoro giovanile e femminile é il vero tallone d’achille di un rilancio occupazionale (sono decisamente aumentati i contratti a tempo indeterminato, in parte merito di quel Jobs act che si intende abolire). Perché non pensare a un patto intergenerazionale e non continuamente alle pensioni, tra scaloni eliminati e legge Fornero da sopprimere? Non ci accorgiamo che cosi facendo tuteliamo i già tutelati? Penso poi che anche il welfare socialdemocratico debba essere rivisitato e trasformato in quel che definimmo già negli anni ottanta come “società solidale”. Mi spaventa questa subalternità nei servizi, una subalternità acritica, nei confronti del pubblico. Ma siamo sicuri che la sanità pubblica, che la scuola pubblica, che l’assistenza e la previdenza pubblica siano modelli? Un socialismo liberale non contrappone pubblico a privato ma offre la possibilità a tutti i cittadini di usufruire del pubblico e del privato. Rinnovandoli, efficientandoli con il ricorso alle nuove tecnologie. Ricordate il famoso bonus da offrire alle famiglie per scegliere la scuola che desiderano per i loro figli? Infine il merito. Un socialismo che non lo riconosca e non lo valorizzi sarebbe fuori dalla storia. Anche del Psi, che con la conferenza programmatica di Rimini grazie a Claudio Martelli lanciò l’alleanza tra merito e bisogno. In realtà per bisogno si intendeva soprattutto quello relativo alle nuove povertà pensando di avere ormai risolto quelle vecchie o materiali. Oggi non é più così, il mancato sviluppo, vincoli europei che tagliano gli investimenti, una classe politica inadeguata hanno fatto crescere le povertà materiali. E per quanto riguarda la valorizzazione del merito basti elencare i numeri delle risorse scientifiche e intellettuali costrette a riparare all’estero. Il merito é oggi non riconosciuto e umiliato. Per concludere su questo punto economico sintetizzo i concetti. Nell’esame della nostra società il socialismo riformista e liberale deve fare piazza pulita dei dogmi marxisti, classisti, vetero socialisti e divenire pragmatico e non ideologico. Ma ugualmente suggestivo. Deve sapere selezionare situazioni di povertà e di disagio, battersi per stipendi più adeguati ed europei, appoggiare tutte le soluzioni per associare i lavoratori alla gestione delle imprese, dare la possibilità a tutti i cittadini di scegliere i servizi più efficienti, saper valorizzare le numerose risorse individuali italiane purtroppo oggi disprezzate. Il socialismo o è revisionista o non é. Una volta il socialismo era revisionista per un confronto ideale (Bernstein, Bauer, Mondolfo, lo stesso Ivanoe Bonomi con il volume “Le vie nuove del socialismo”). Oggi deve esserlo perché la realtà lo impone. Altrimenti é roba vecchia da gettare dalla finestra.

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