L’autogol
La parola “sconfitta” l’ha pronunciata solo il segretario del Psi Vincenzo Maraio e Dio sa perché il suo partito si sia voluto collocare tra la schiera dei perdenti. Landini ha parlato di “non vittoria”, che a ben pensarci cambia poco. Chi non vince perde, a meno che non pareggi. Ma nei referendum il pari non esiste. Altri dirigenti del Pd sostengono che il 30% dei votanti rappresenta un consenso maggiore di quello ottenuto dal centro-destra alle ultime politiche. Ma se togliamo a quel 30 il 10-12% di no, che diventa un 35 al referendum sull’immigrazione, non é neanche vero. E poi che c’entra? Il referendum non era stato promosso per affermare nuovi o vecchi diritti del mondo del lavoro? O era stato concepito come una sfida numerica al governo? Se ben osserviamo i quesiti il referendum che ha ottenuto più voti é proprio quello sul jobs act che leggendolo bene non ripristinava l’articolo 18 ma la legge Fornero che prevedeva meno risorse per il lavoratore licenziato e toglieva protezioni ai precari. E quello meno votato é stato il più chiaro ma insidioso e cioè il referendum che tagliava gli anni necessari per chiedere la cittadinanza. Il tema dell’immigrazione, si sa, é particolarmente indigesto a sinistra. Quando si parte lancia in resta per sbaragliare gli avversari e si resta con le pive nel sacco sarebbe d’uopo un’autocritica. Invece gli sconfitti si dicono contenti del risultato o meglio del non risultato giacché le leggi che si volevano abolire resteranno tali e quali. E nel Pd i riformisti annunciano una giusta e opportuna battaglia. Staremo a vedere dove li porterà. Concentriamoci sul primo referendum, quello a barre ideologiche. La Schlein é riuscita a perdere un referendum su una legge che il Pd aveva votato e a far vincere la Meloni su una legge che il suo partito non aveva approvato. Landini ha convocato l’ubbidiente Uil per difendere un articolo di una legge che il suo ex partito, il Pci, non aveva votato e anche il piccolo Psi ci è cascato pensando che l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori l’avesse scritto Brodolini e invece fu inserito da Donat Cattin mentre Gino Giugni proponeva la sua manutenzione gia alla Conferenza di Rimini del 1982. Poco o nulla si sa del merito e dei precedenti nella politica italiana. L’ignoranza regna sovrana. Non c’é quasi nessuno che studi i problemi, che ne anticipi lo sviluppo, che ne legga possibili conseguenze. Ma poco si conosce dei mutamenti profondi nel sistema economico e nel mondo del lavoro. Si pensa ancora all’egemonia della classe operaia che é divenuta minoritaria oggi. O al massimo si arriva a concepire la terziarizzazione dell’economia degli anni ottanta come permanente. Oggi siamo entrati nell’epoca digitale. Il vero conflitto é tra modernizzazione e conservazione e il ruolo di uno stato socialdemocratico é sempre più quello di fissare delle norme che regolino il sistema nel segno dell’equità sociale. Un salario dignitoso per tutti, nel mondo dell’intelligenza artificiale, sarà problema ineludibile. Cosa si è fatto per decentrare i contratti, per legare salari e produttività, per garantire servizi anche tecnologici a tutti? No. In questo nuovo mondo decetomedizzato, come si dice, dove un’azienda su internet sta uccidendo il commercio al dettaglio, dove i salari italiani sono i più bassi d’Europa, dove ancora il lavoro giovanile e femminile arranca, che si fa? Un bel referendum, anzi tre, sul lavoro di quarant’anni fa. E vi stupite perché la gente si volta dall’altra parte? Con questa concezione del mondo del lavoro, come se l’Italia fosse ancora un paese di grandi aziende e non avesse invece il 95% di piccole imprese, la sinistra perderà sempre. Perché é vecchia. Decrepita. Ha l’urlo genuino ma incolore di Landini, lo sguardo imbarazzato della Schlein e il cinico risvolto di un Conte che non vince mai.
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