Home » Intervento in Aula sul conflitto d’interessi

Intervento in Aula sul conflitto d’interessi

Signor presidente, illustri rappresentanti del governo,

l’on. Violante, nella sua approfondita e lucida relazione alla legge oggi in discussione alla Camera dei deputati, ha giustamente attribuito l’emergere della necessità di provvedimento in materia di conflitto d’interessi alla discesa in campo, a partire dalla campagna elettorale del 1994, di una personalità che non proveniva dai partiti, ma direttamente dal mondo dell’impresa. Egli però ha omesso di inserire quella improvvisa scelta nel contesto di allora, che a mio giudizio sarebbe opportuno qui riprendere. Quando Silvio Berlusconi decise di scendere in campo, uso il solito gergo giornalistico coniato da  quello calcistico, l’Italia era alle prese col più delicato e prorompente conflitto d’interessi di poteri della sua storia.

Il potere giudiziario, che aveva il compito di controllo del sistema politico, s’era fatto esso stesso potere politico. Si era proposto l’obiettivo dichiarato di perseguire una profonda trasformazione del sistema politico, immobile dopo in grandi eventi dell’89. Aveva poi tentato di condizionare e con successo la nascita del governo Ciampi, dopo la votazione sulle richieste di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, contro il quale la maggioranza dei deputati votò, almeno per quelle più rilevanti, nell’aprile del 1993. Aveva anche minacciato una sollevazione dopo la emanazione del decreto Conso che depenalizzava il finanziamento illecito, già depenalizzato col consenso, ed era ovvio, del Pci, fino al 1989. Continuava a contribuire alla distruzione di interi partiti politici che avevano fatto la storia d’Italia, certo anche approfittando dei loro errori e contraddizioni e incertezze.

L’Italia stava attraversando un periodo storico che qualcuno chiamava rivoluzionario e qualche altro di falsa rivoluzione. Indubbiamente i rivolgimenti politici che nel nostro Paese erano stati fino ad allora minimi, si accentuarono improvvisamente e si moltiplicarono con un effetto domino, non dissimile da quello prodotto dalla caduta dei regimi comunisti pochi anni prima. In particolare vennero colpiti i partiti di governo. La Dc, che nel 1993 si trasformò in Partito popolare, non seppe reggere l’urto e si frantumò lentamente. Più veloce fu la consunzione del Psi, travolto ai massimi livelli dall’iniziativa giudiziaria e incapace di difendersi più che per mancanza di volontà per l’intensità dell’urto al quale venne sottomesso. Si sbriciolarono anche i partiti dell’area laica e socialista, il Pri, il Pli e il Psdi e a tre mesi dalle elezioni politiche che il presidente della Repubblica Scalfaro volle anticipare senza interpellare un Parlamento che appariva allora delegittimato, esisteva solo una gioiosa macchina da guerra, di occhettiano conio, contro la quale nessuno sapeva contrapporsi. Non la Dc, bloccata dalla lotta, anche nella versione di partito popolare, delle sue due anime, non il Psi alle ricerca di un impossibile dopo Craxi, ma nemmeno il Msi ancora ghettizzato e che cominciava a intravedere sullo sfondo l’uscita della sua emarginazione approfittando proprio delle inchieste giudiziarie. E neppure la Lega, che sapeva imporsi solo in una parte del Paese e di questo si accontentava senza pensare a coalizioni con altri partiti che del resto intimamente detestava. C’era Mario Segni, fautore di referendum, e su Segni si appuntarono gli occhi, ma il trionfatore del referendum elettorale del giugno 1993 era troppo oscillante tra destra e sinistra per poter comprendere che stava scoccando il suo momento.

Per di più il giacobinismo imperante aveva gridato alla lotta all’untore e untori apparivano non solo gli uomini politici di governo, ma anche tutti coloro che li avevano frequentati e appoggiati. E si proclamava che lo stesso Berlusconi, in particolare per l’amicizia con Craxi, al quale certo doveva l’esistenza stessa delle sue televisioni, per i due decreti legge del 1985, anche Berlusconi avrebbe dovuto pagare le sue colpe.

E’ in questo contesto, on. Violante, che Berlusconi, unendo forse disperazione e coraggio, decide di spendersi politicamente e di contrapporre al conflitto d’interessi della magistratura e dell’eroe Di Pietro che stava svestendosi della toga per entrare in politica, il suo conflitto d’interessi. La fine della politica, caratterizzata dalla preponderanza dei partiti, configurava un nuovo inizio e una nuova contrapposizione: quella tra le televisioni di Berlusconi e le manette del poter giudiziario, con una sinistra subalterna plaudente che di gioioso non aveva neppure il sorriso sotto i baffi del suo presunto candidato leader. Il partito delle televisioni sconfisse il partito delle manette con le elezioni del 1994, ed io ritengo che sia stato un bene per tutti.

Oltretutto, a forza di concepire i politici e i partiti come contenitori di tutti vizi, la gente vide in Berlusconi l’uomo che proveniva da un altro mondo. Il capolavoro della sinistra fu quello dunque di abbinare in quel momento giustizialismo e conservazione e di non capire che sposando acriticamente, ma forse era costretta, la linea della rivoluzione giudiziaria alla fine ci avrebbe rimesso proprio lei, così pesantemente partitica. E il beneficiario di quelle indagini fu proprio Berlusconi, che come disse in quest’Aula Massimo D’Alema senza Tangentopoli non sarebbe mai diventato presidente del Consiglio, affidando così alla sua entrata in politica una funzione strettamente legata all’espansione del potere giudiziario e come supplenza del vuoto conseguente la fine dei partiti di governo.

Ho voluto richiamare questo contesto perchè lei on. Violante me lo ha sollecitato e allora voglio chiedermi e chiedervi in che misura la situazione italiana è cambiata e come possiamo oggi discutere di un conflitto d’interessi. Certo la lobbie giudiziaria ha perso molto potere rispetto a dodici anni fa. Certo il tintinnio delle manette usate per ottenere, in spregio a qualsiasi legge, le confessioni dell’indagato, sono solo un ricordo. Certo oggi la maggior parte di quei processi si sono conclusi con l’assoluzione degli imputati. Ed è da tempo nata una nuova teoria revisionista a sinistra, su quegli anni così turbolenti, teoria della quale lei, on. Violante, è uno dei principali artefici. Possiamo dirlo, quella fase è finita e solo sporadiche scosse di assestamento si verificano di quando in quando in Italia. Ma oggi dobbiamo anche chiederci se possiamo rifondare la politica, questo è il problema che mi appare centrale più del conflitto d’interessi di Berlusconi del quale nessuno può negare l’esistenza. Oggi la politica vive con partiti fragili e con leadership forti, almeno sulla carta e per la visibilità che vien loro riconosciuta. A prescindere dalle primarie che vengono organizzate spesso per mettere fumo negli occhi, chi conta è chi è nelle istituzioni.

La legge per l’elezione diretta dei sindaci ha creato una sorta di podestà che non risponde di nulla a nessuno. Si sono formate quelle oligarchie che ad inizio del secolo scorso un sociologo come Robert Michels chiamava delle èlites. Allora erano riferite a quelle partitocratiche e oggi invece potremo riferirle a quelle del potere istituzionale e solo in rari casi a effetti leaderistici di capi carismatici di partito. La selezione dei quadri avviene così per cooptazione e non più per consenso conseguito sul campo. I cooptati dal capo sono in genere più che personalità politiche forti, personaggi che sanno assicurare lealtà o meglio fedeltà. E d’altronde il riconoscimento è una normale attitudine di chi sa di aver ottenuto un vantaggio. Così anche la legge elettorale non importa se uninominale o proporzionale senza preferenze, o la nomina di uomini di governo non eletti o di assessori non eletti, attribuisce al capo il potere di scelta e i prescelti o gli eletti vengono selezionati preventivamente in base a rapporti speciali con chi ha il potere decisionale (un sindaco, un governatore, un presidente del Consiglio, qualche capo carismatico di partito). Così, cari amici, la democrazia politica è andata a farsi benedire. Almeno quella che noi abbiamo conosciuto e frequentato. Si può dire che a questo Berlusconi ha dato il suo contributo col partito costruito a rovescio di Forza Italia, come un’azienda dove dal centro si nomina la periferia, però un contributo di partenza è stato certamente recato sia dai cosiddetti poteri forti che hanno appoggiato i referendum di Segni, sia dal giustizialismo antipartitico che ha prevalso a seguito dell’indagine di Mani pulite e da coloro che questo processo hanno acriticamente appoggiato, per poi annunciare l’errore dopo dieci anni. E  certamente anche dagli errori notevoli compiuti dalla vecchia partitocrazia. Se l’emergenza è finita mi auguro allora che tornino, sia pur rinnovati anche nella classe dirigente così bloccata e ossificata solo in Italia, anche i partiti storici, fondati sulle identità, uscendo dal post Tangentopoli e dall’emergenza governata dai due grandi conflitti d’interesse. Ho ricordato tutto questo perché se il conflitto d’interessi è un dato reale, lo è in tante direzioni e non può essere esclusivamente addebitato a Berlusconi. Ad esempio sarei favorevole ad una legge che inibisse a cariche elettive i magistrati, entro un numero di anni dalla loro recessione d’incarico. Che l’on. Di Pieto utilizzi i verbali dei suoi interrogato per cercare il consenso in campagna elettorale lo riteniamo compatibile e non invece un prodotto configgente di interessi diversi di due poteri autonomi e separati? E che dire di tanti assessori che nella mia regine, l’Emilia-Romagna, sono funzionari cooperativi in aspettativa e devono decidere gli appalti a cui concorrono le cooperative?

Una legge che concepisse il conflitto d’interessi esclusivamente accentrato su Berlusconi è un’ennesima legge ad personam, anzi, il chè è peggio, una legge contra personam. L’on. Boselli ha affermato che una legge che riguarda il capo dell’attuale opposizione non può esser approvata a maggioranza. E ha aggiunto che così si rischia di fare il suo gioco e cioè di renderlo vittima. Una vittima dei comunisti, come ama spesso ripetere l’ex presidente del Consiglio. Condivido la annotazione di Boselli e credo che se un contendente si trova in una anomala posizione personale, l’altro non possa legiferare senza coinvolgere direttamente la sua parte. A meno che la sua parte neghi l’esistenza stessa del problema, certamente. L’on. Cicchetto ha qui richiamato possibili convergenze su una legge del conflitto d’interessi che escluda il trust e che magari implichi il mandato fiduciario. E’ così stravagante questa idea?

E’ ben strano, che in Italia si tenti un accordo sulla legge elettorale, sulla riforma del titolo  quinto della Costituzione, sulla politica estera, perfino sull’emergenza violenta degli stadi italiani, e non si cerchi una convergenza su una materia la più delicata che interessa la natura del rapporto politico in Italia, e cioè quello dello status del capo del più autorevole esponente dell’opposizione. Ho letto attentamente il disegno di legge oggi discussione. E vi ho anche trovato annotazioni e disposizioni condivisibili. Però non si possono citare alcune strane anomalie. La prima è quella di un disegno di legge che non è stato approvato da tutta la maggioranza. La posizione dell’on. Boselli l’ho ricordata e dalla stessa parte deve aggiungersi quella dell’on. Mastella, che pure è ministro di questo governo. Dall’altre parte, come ricorda lo stesso relatore, vi è la posizione, diciamo più intransigente, dell’on. Di Pietro e del suo partito, del Pdci e dei Verdi che contrappongono ineleggibilità a incompatibilità. Insomma se per la parte più moderata Berlusconi non può fare il presidente del Consiglio se non accetta le norme relative al trust cieco del quale poi parlerò o se non vende la sua azienda, e tutti dovrebbero tiare un gran sospiro di sollievo, per costoro non può  neppure essere eletto. Una posizione gauchiste, che vorrebbe insomma farla finita finalmente col fenomeno Berlusconi. Troncarlo una volta per tutte. Ed esiste un relatore che annuncia nella sua relazione di volere presentare emendamenti alla legge senza precisarne il contenuto. Ciò potrebbe bastare per avanzare dubbi e perplessità sulla natura di una legge che si presenta appunto contestata e incompleta e ci si interroga sulle motivazioni che hanno ugualmente spinto i proponenti a chiederne la calendarizzazione alla Camera dei deputati.

Oltretutto, conoscendo i numeri al Senato dove neppure una legge sull’introduzione nella Costituzione dell’italiano come lingua della nazione passa senza qualche patema, credo appaia a tutti problematico l’iter di una legge da votare a maggioranza e con la maggioranza divisa. Il rappresentante dell’Italia dei valori lo ha detto poco fa: il suo gruppo non  voterà a favore di questo testo. Dunque state presentando una proposta di legge contrastata da tutta la minoranza, da tre partiti della maggioranza e sulla quale sono emersi grandi dubbi da parte di Sdi e Udeur?

E’ vero, ed è inutile, nasconderlo, che l’attuale legge sul conflitto d’interessi, basata sul suo accertamento di fatto e non sul conflitto preventivo, è discutibile. Forse era anche opportuno tentare di superarla o di emendarla. Resta per me difficilmente giustificabile, e questa è la seconda anomalia, l’articolo 10 e soprattutto l’articolo 11 della legge. Sia ben chiaro io rimpiango gli uomini politici cosiddetti professionisti. Lo erano De Gasperi, Nenni, Togliatti, Moro, Fanfani, Adreotti, La Malfa, Saragat, Craxi. Nessuno di loro era imprenditore. E dichiaro senza tema di smentita che i partiti sono stati una grande fucina di quadri e di gruppi dirigenti della nazione. Ma oggi non sono più in grado di fornire se non in misura insufficiente e insoddisfacente il quadro dirigente del Paese. Questa è la verità. Non il mito delle società civile. Lo scoprite adesso? Non sapevate quel che facevate quando davate il vostro piccone come contributo allo smantellamento dei partiti? La politica ai professionisti della politica non la si riconsegna con un articolo di una legge che sancisce incompatibilità generali tra cariche di governo e qualsiasi attività imprenditoriale esclusi i piccoli imprenditori, a norma dell’articolo 2083 del codice civile. Se il proposito, come qualcuno ha detto, non è quello di colpire Berlusconi, allora vorrà dire che l’obiettivo è quello di eliminare llly…

Non sono in grado di giudicare l’efficacia del cosiddetto “trust cieco”, cioè dell’affidamento a terzi estranei e che non devono aver avuto alcun rapporto con il conferente, dell’intero patrimonio dell’incompatibile. Che deve essere tenuto all’oscuro, per questo cieco, di tutta la sua gestione. Il trustee può fornire solo informazioni specifiche relative alla vendita dei beni e informazioni necessarie per motivi fiscali. Si desume questo istituto dal modello americano, modello molto particolare. E anche in questo ritorna, chissà perchè il mito d’oltre Oceano, forse nascosto da un ultradecennale complesso di colpa verso quel paese, e che certo non può che essere la conseguenza della futura nascita del partito democratico, anch’esso americano. Ciò che stupisce, terza anomalia, e per certi aspetti inquieta, è il capitolo A dell’articolo 11, quello che sancisce le incompatibilità determinate dalla specifica natura del patrimonio del titolare della carica di governo. E laddove si stabilisce in particolare l’incompatibilità con un patrimonio di valore superiore a 15 milioni di euro. Francamente mi sfuggono le motivazioni di una incompatibilità, diciamo così, di censo.  Dopo aver sancito la qualità dell’incompatibilità, si avverte anche l’esigenza di sancire la quantità della stessa. Perché? Non vorrei che anche in questo caso sia stata richiamata quella volontà di far piangere i ricchi, che era stata solennemente declamata in un famoso manifesto durante la discussione della finanziaria, che aveva invece fatto piangere un po’ tutti. Vorrei sapere in cosa è incompatibile chi è proprietario di un patrimonio regolarmente dichiarato di 15 milioni di euro e perché non lo sarebbe chi invece ne dichiara solo 14. Misteri. Non male anche l’idea di promuovere una nuova autorità, con tanto di membri naturalmente pagato allo Stato.

Dopo l’autorità antitrust e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni nascerà dunque l’autorità per la prevenzione del conflitto di interessi e delle forme di illecito della pubblica amministrazione. Era proprio necessario istituire una specifica autorità per sancire l’incompatibilità di Berlusconi, e per di più a spese dello Stato? Mah. Resta certo il delicato equilibrio democratico in una fase in cui i mezzi di comunicazione determinano la politica. Lo diciamo noi che veniamo completamente oscurati dalle televisioni di Stato e da quelle di Mediaset ci siamo per questo rivolti alla competente autorità perché assicuri una corretta informazione dei lavori parlamentari e non solo pastoni televisivi in cui i secondi vengono lottizzati dai grandi partiti a cui si sommano ogni tanto quelli di qualche raccomandato di turno. Perché la tutela delle minoranze, delle piccole forze politiche, non scomoda l’attenzione di nessuno? Il conflitto d’interessi è certo più arrapante dell’interesse a non ignorarci. Così il paradosso è che i mezzi d’informazione continuano a celebrare i contrapposti equilibri che si scontrano anche oggi sulla legge del conflitto d’interessi e che si incontrano per monopolizzare a loro uso e consumo lo spazio televisivo. Nessuno pretende che i piccoli abbiano uguale spazio dei grandi. Ma ignorare il contributo che ognuno di noi reca al dibattito parlamentare, e faccio su questo appello al presidente della Camera, e nel contempo oscurare come se fossero defunte piccole forze parlamentari, questo lo ritengo un atto ben peggiore dell’incompatibilità. Signor presidente, egregi colleghi, concludo con l’auspicio che in questo scontro su questa legge non vinca nessuno. Ma che vinca la democrazia politica, il rispetto delle opposizioni, la tutela delle minoranze, la fine di tutte le egemonie i monopoli, perchè la politica sia sempre meno oggetto dell’interesse dei poteri forti e perchè l’Italia possa davvero diventare un paese normale.