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Intervento in Aula sulle mozioni per le missioni militari all’estero

Signor Presidente, viceministro, amico Ugo Intini,
credo che l’onorevole Mantovani, con la sua onestà intellettuale e la sua coerenza politica, abbia ben chiarito i termini del dissenso presente all’interno della maggioranza sui temi della politica estera, dissenso che un documento così vago, come quello proposto nella mozione presentata, certamente non risolve.
Che la politica estera fosse un tallone d’Achille di questa maggioranza era chiaro già al momento della pubblicazione del programma dell’Unione, quando si sviluppò una polemica sui temi delle opere pubbliche e appunto delle missioni italiane all’estero.
Pareva che su quest’ultima questione l’Unione avesse trovato un accordo siffatto: uscita dal teatro iracheno più o meno immediata, conferma delle altre missioni di pace nel mondo.
Evidentemente, questo accordo non era chiaro o non è stato sufficientemente chiarito. L’argomento della missione in Afghanistan non era stato affrontato nel documento, ma doveva per forza esserci un accordo, anche perchè la questione, e lo si sapeva, era ai primi punti nel calendario del futuro governo. Così si sono sviluppate critiche, dissensi, annunci di voto favorevole obtorto collo. Ho sentito l’onorevole Diliberto sostenere addirittura che i comunisti italiani “erano, sono e saranno contrari alla missione in Afghanistan”. Eppure voteranno «sì». Mi viene in mente la figura retorica dell’ossimoro, che tenta di conciliare gli opposti e, così, l’onorevole Diliberto sostiene che, proprio perché è contrario, voterà a favore per non mettere in difficoltà il Governo, che si trova così privo di un minimo comune denominatore sulla politica estera, proprio oggi che la politica estera è divenuta un’emergenza per tutti i paesi, anche alla luce delle tragiche vicende che hanno recentemente insanguinato la regione mediorientale.
Rispetto al Medio Oriente, chiedo al Governo, anche a nome del gruppo cui appartengo, di chiarire bene il senso della sua posizione, di distinguere tra un’aggressione e una reazione, tenendo presente, caro amico e compagno Ugo Intini, ciò che ci ha sempre insegnato Bettino Craxi e cioè che rispetto al dramma mediorientale dobbiamo tenere fermi due principi. Il primo è quello dell’esistenza e della sicurezza dello Stato d’Israele. Il secondo è il diritto legittimo dei palestinesi ad avere una patria.
Chiedo al Governo, e lo ha giustamente sottolineato l’onorevole Marcenaro prima di me, se la nuova situazione mediorientale non sia divenuta così precaria a causa dell’insorgente estremismo, sia all’interno della Palestina con la vittoria elettorale di Hamas, sia all’esterno della stessa, in Iran, dopo l’ascesa al potere di Amadinejab, ma anche in Libano, dove gli hezbollah possono tranquillamente sedere in parlamento e al governo, così da mettere in discussione il primo dei due principi: il diritto di Israele ad esistere.
Sulla questione dell’Afghanistan occorrono poche parole: noi eravamo, siamo e saremo (per usare le stesse parole di Diliberto) a favore di una missione che è stata inserita nell’ambito della risoluzioni dell’Onu, il cui comando è stato assunto dalla Nato due anni dopo questa assunzione di responsabilità che risale al 2001, a seguito alle tragiche vicende che hanno martoriato le Torri gemelle di New York. Non sappiamo se la missione dovrà essere potenziata, come pure hanno sostenuto gli onorevoli Bonino e D’Alema. Certo, siamo favorevoli a che essa sia mantenuta ed il Parlamento della Repubblica italiana ha il dovere di dire con chiarezza che la sostiene, che sostiene i militari e tutti gli operatori che in essa sono impegnati.
Infine, aggiungo due parole, nei limiti di tempo concessimi, sulla mozione presentata dalla maggioranza. Si tratta di una mozione, come è chiaro alla luce degli interventi ascoltati in Assemblea, frutto di una faticosa mediazione, che parte dalla registrazione di posizioni assolutamente inconciliabili, quali quelle di Rifondazione Comunista, contraria alla Nato (non so se a favore di ciò che scandivano nei giorni scorsi i manifestanti cosiddetti pacifisti, che hanno inserito nel loro documento la necessità di smantellare le basi Nato dal nostro Paese, parafrasando il vecchio slogan sessantottesco “Gettiamo a mare le basi americane”) o quelle del sottosegretario per gli affari esteri Vernetti, che è a favore della posizione assunta dal Governo israeliano, retto in questo momento da una coalizione di centrosinistra, fondata su un rapporto diretto tra l’erede di Sharon, Olmert, e Simon Peres, il leader storico del laburismo israeliano.
Nella mozione della maggioranza si scrive di riflessioni, di verifiche, di valutazioni, ma non si dichiara con chiarezza l’appoggio alla missione in Afghanistan, l’apprezzamento per i nostri militari ovunque siano nel mondo, il dolore per il sacrificio di sangue versato dall’Italia nelle missioni di pace. Anche sull’Iraq non si sostiene la necessità di una fuoriuscita dal paese perché è esaurito il compito della missione italiana, ma si sostiene la necessità di una fuoriuscita perché si ritiene illegittima la missione.
Mi pare sia chiaro che questa missione è avvenuta e una risoluzione dell’Onu l’ha pienamente legittimata, definendone concretamente i confini. E, pur tuttavia, si continua a sostenere che tale missione non è stata legittimata dalle Nazioni Unite.
Infine – e concludo – vi è un passo nella mozione della maggioranza in cui si dice che devono essere autorizzate soltanto missioni di pace nell’ambito dell’Onu. A tale proposito, cito due precedenti.
Il primo – e l’onorevole Intini se lo ricorderà – riguarda la decisione di inviare un contingente italiano nel teatro della guerra nel Golfo del 1991. Si trattava di una decisione adottata in seguito ad una chiara assunzione di responsabilità da parte dell’ONU, che autorizzava l’uso della forza per la liberazione del Kuwait. Ebbene, in quella circostanza, nonostante il voto e la legittimazione dell’ONU, una parte consistente della sinistra – e cito l’allora PCI, non ancora PDS (in quel momento, per la verità, era in una fase di transizione e veniva definito «la Cosa») – preferì votare contro e cavalcare la tigre delle proteste dei movimenti.
Il secondo precedente, ma di carattere opposto, riguarda la guerra in Kosovo. I bombardamenti di Belgrado e della Serbia furono appoggiati dal Governo D’Alema senza l’autorizzazione dell’Onu e quel partito, che aveva votato contro una decisione assunta nell’ambito dell’Onu, votò a favore di una guerra decisa dalla Nato e non dall’Onu, anche se l’allora onorevole – e non ricordo se già o ancora ministro della giustizia – Diliberto, che faceva parte di quel Governo- andò poi a Belgrado, assieme all’onorevole Cossutta, a solidarizzare con coloro contro i quali il suo Governo lanciava bombe. Il che mi pare il massimo della contraddizione politica e, forse, prima ancora, logica, visto che non si può essere da una parte e da quella opposta allo stesso tempo.
D’altronde, che vi sia oggi il gioco allo scavalco del Pdci nei confronti di Rifondazione Comunista fa parte della cronaca quotidiana. Ho letto che l’onorevole Rizzo ha ritirato la «patente» di marxista al Presidente della Camera, onorevole Bertinotti: non sapevo che vi fossero nuovi teologi, nuovi sacerdoti dell’ortodossia marxista, un po’ datati per la verità, in quest’aula e che essi avessero anche la possibilità di revocare patenti ideologiche così luminose e storicamente significative. Chissà che dispiacere per il candidato Bertinotti essere stato bocciato in catechismo marxista dal professor Rizzo.
Ebbene, in questo gioco allo «scavalco» intravedo pericoli per il Governo, per la sua stessa tenuta e per la politica estera dell’Italia. Penso che, quando si parla di politica estera, si debba fare riferimento ad un bene comune, che deve unire maggioranza e minoranza e che prescinde, altresì, dalle posizioni e dalle collocazioni di ciascuno di noi.
È questo il motivo per cui abbiamo valutato con favore le decisioni assunte, nell’ambito del G8, dal Presidente del Consiglio Prodi. Spero che egli possa davvero svolgere un ruolo di mediatore o, come è stato scritto, di «facilitatore»; ciò anche se la composizione della sua maggioranza non facilita certamente lo svolgimento di un ruolo adeguato al riguardo, ma rischia, purtroppo, di complicarlo (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

Dichiarazione di voto

Signor Presidente,

ho ascoltato la replica puntuale del viceministro Intini seguita al dibattito che si è svolto in quest’aula e voglio solo soffermarmi su due punti di questa replica, dopo l’intervento che ho pronunciato ieri mattina nel corso del dibattito. In primo luogo, è vero che, in altre nazioni, taluni partiti come il partito laburista, il New Labour di Tony Blair, o il partito repubblicano di Bush negli Stati Uniti, si dividono su grandi questioni di politica estera, ma è anche vero che esiste in Gran Bretagna come negli Stati Uniti, e come altrove, una maggioranza di Governo omogenea, al di là delle divisioni dei singoli partiti per le scelte importanti di politica estera. Ora, invece, in Italia ci troviamo di fronte ad una maggioranza divisa sui temi di politica estera, condizionata profondamente da un’estrema sinistra che, non condividendo le opzioni di fondo della politica estera italiana, pretende una serie di mediazioni che portano poi alla presentazione di mozioni così generiche come quella presentata nel corso di questo dibattito, in accompagnamento al disegno di legge sulle missioni.
Vengo al secondo punto della replica del viceministro Intini. È vero che maggioranze e minoranze si uniscono spesso in grandi Paesi sui grandi temi di politica estera – è vero che questo avviene soprattutto negli Stati Uniti d’America -, ma è anche vero che maggioranza e minoranza si uniscono, come è accaduto in Italia su alcuni temi di politica estera in occasione di certe decisioni in passato, senza per questo che la minoranza si sostituisca ad una parte della maggioranza che vien meno. Questo invece è ciò che può accadere in Italia. E per la verità è ciò che è già accaduto. Dunque, mi pare sia giusto richiamare la particolarità italiana rispetto ai due esempi di Intini.
Noi siamo d’accordo, lo eravamo ieri e lo saremo domani – e concludo -, sulle missioni italiane di pace all’estero. Non abbiamo dubbi sulla necessità di proseguire la missione in Afghanistan e di porre un accento nuovo sull’esigenza di intervenire anche in quelle aree del mondo che sono state fino ad ora ritenute assolutamente marginali, come l’Africa o il Darfur. Riteniamo possibile una partecipazione italiana ad una missione di pace in Libano, purché all’interno di questo conflitto sia chiaro che la responsabilità principale sta nel terrorismo che ha aggredito Israele e la necessità principale è quella di disarmare Hezbollah, secondo la risoluzione dell’ONU (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).