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INTERVENTO SULLE LIBERALIZZAZIONI BERSANI

Signor presidente, signori del governo,

il Nuovo Psi, l’unico partito che non è stato invitato agli incontri sulla riforma elettorale, negherà la fiducia al governo per ragioni di politica e per ragioni di decreto. E’ stato osservato che è la sedicesima volta che il governo pone il voto di fiducia. Non sono superstizioso, ma attenti alla prossima..

Noi abbiamo valutato il disegno di legge, di conversione di questo decreto cosiddetto sulle liberalizzazioni, con il massimo di apertura e senza alcuna ostilità preconcetta. E assicuro che verso il ministro Bersani non abbiamo praticato quella cultura benaltrista che di solito una parte della sinistra manifesta quando non vuole entrare nel merito di un problema, Non diremo cioè: ben altre sono le questioni da risolvere. Si dice infatti: è inutile parlare di estetisti e guide turistiche, di ricariche telefoniche o di fornai, perché, se si vuol liberalizzare davvero bisogna partire dai servizi municipali. E’ vero, ma si possono affrontare, io credo, entrambi i problemi e oggi dobbiamo discutere dei primi. Ci auguriamo che presto il disegno di legge Lanzillotta possa approdare alla Camera e lo valuteremo con altrettanta obiettività.

Non condivido nemmeno questo atto generalizzato d’accusa al cosiddetto socialismo municipale. Non per difesa d’ufficio d’un termine, ma perché spesso si tratta di aziende produttive, efficienti e in utile. Certamente dovremo affrontare i problemi di un mercato che non può essere libero se condizionato così fortemente, soprattutto nei sistema dell’energia e dei trasporti, da aziende che sono in mano ai committenti, cioè agli stessi comuni e che producono costi per i singoli utenti non calmierati da un corretto sistema di concorrenza.

Di questo provvedimento le cose che condividiamo non sono poche. Condividiamo l’esigenza di tutelare il cittadino consumatore sempre al prese con doveri e quasi mai con diritti e tutele.

Condividiamo l’esigenza di fornire maggiore concorrenzialità al mercato, più trasparenza, velocità e semplicità nelle procedure amministrative. Condividiamo anche l’idea che su questa materia il governo precedente , quello di centro destra, sia stato piuttosto latitante. E pare davvero strano, a chi come, me, è attento ad affrontare problemi di natura culturale e politica, che una destra liberale sia stata disattenta alle liberalizzazioni e che una queste diventino cavallo di battaglia di una sinistra di radice o di cultura comunista. Scherzi del destino, beffe della storia? Chi lo sa. Siamo in una fase, però, in cui spesso alle parole non seguono gli atti concreti. Più che di liberalizzazioni questo decreto, che certo tra i suoi meriti, ha quello d’essere “solo Bersani” e non “anche Visco” come quello precedente, dunque di non essere appesantito da nuove tasse e balzelli, più che di liberalizzazioni questo provvedimento tratta di interventi sui prezzi, dell’eliminazione di vincoli, della velocizzazione delle procedure per aprire nuove attività imprenditoriali e poi di altre due questioni, all’articolo 12 e all’articolo 13, sui quali mi soffermerò in seguito.

Ecco dunque una prima obiezione. Si tratta di un decreto omnibus con dentro di tutto un po’, troppo ampio ed eterogeneo per poter essere davvero utile ed efficace. Se è una lenzuolata, come l’ha definita il ministro Bersani, è una lenzuolata a pois.

Il provvedimento si compone in realtà di quattro parti, che avrebbero potuto originare quattro diverse leggi: la prima relativa agli interventi su alcune professioni e su alcuni risparmi per il consumatore, la seconda relativa all’intervento sulla velocizzazione delle pratiche per aprire una impresa, la terza sul ritiro di concessioni alla Tav per opere non realizzate e la quarta sulla formazione professionale e sulla riforma della riforma Moratti. Non è un po’ troppo agire per decreto su materie così diverse?

Si dice: dobbiamo far presto, agganciare la ripresa che è in atto, favorirla con nuovi immediati provvedimenti. Intanto non condivido questo entusiasmo per l’andamento dell’economia e questo arrogarsene il merito ricorda un vecchio detto di un re che si attribuiva anche il merito del più fulgido splendore del sole. La crescita italiana non è stata rallentata dalla mancanza di simili misure nè la loro attuazione, in primis attraverso il decreto Bersani-Visco dell’autunno scorso, poi attraverso il Dpef e linfine con la legge Finanziaria, sono le cause reali e determinanti il miglior andamento dell’economia italiana. Dovremmo essere su questo tutti un po’ più onesti e considerare che la crescita o la mancata crescita sono spesso variabili indipendenti dell’azione dei governi, frutto di accadimenti internazionali o di propensioni strutturali delle economie nazionali, la cui correzione è lunga e faticosa.

Vent’anni fa un ex presidente del Consiglio, che era segretario del mio partito, Bettino Craxi, durante le elezioni politiche del 1987, dopo avere presieduto un governo per quattro anni, quando l’Italia era passata da un’inflazione a due cifre al 6 per cento, mi disse confidenzialmente: “Saremo stati bravi (pensava probabilmente al decreto di San Valentino e alla determinazione con la quale egli aveva perseguito la vittoria del no al referendum), ma certo siamo stati fortunati”. E’ così. A meno che anche la fortuna la si voglia considerare un merito.

Personalmente penso che sia un fatto positivo che finalmente un governo riconosca anche i meriti di un governo di colore diverso che l’ha preceduto. Lo ha fatto il ministro Di Pietro parlando di infrastrutture, lo ha fatto anche il ministro Padoa Schioppa dichiarando che i conti pubblici erano a posto. L’Italia così potrà davvero scrivere le ragioni della sua unità, sia pur nelle diverse articolazioni politiche, come giustamente ci ricorda spesso il capo dello Stato.

La politica è una cosa la propaganda è altra cosa. Se facciamo politica con la propaganda facciamo una pessima politica. Dovremmo tutti riconoscere, ad esempio, che la crescita italiana è stata inferiore alla media europea sia quando c’era Podi che quando c’era Berlusconi e che durante gli anni di Prodi il nostro prodotto interno è cresciuto di più perchè è cresciuto di più anche altrove. E che oggi finalmente è ripartita la crescita internazionale anche in Europa e che l’Italia, certo avvantaggiata anche da scelte di governo, sia di quello precedente sia di questo, sta finalmente avvicinandosi o superando il 2%. E’ difficile riconoscere tutto questo come per quel tale riconoscere che il re era nudo, anche se lo vedeva interamente svestito. Questo è uno dei difetti forti del sistema bipolare italiano, ove se una parte dice bianco l’altra per forza deve dire nero. Ed è anche per questo che noi consideriamo il bipolarismo, e in particolare questo bipolarismo, la malattia della politica italiana.

Lei, signor ministro, nella sua lenzuolata ha messo un po’ di tutto: dai provvedimenti salutari sulle ricariche telefoniche (ma davvero riuscirà l’Autority a frenare la rincorsa delle società telefoniche alla ricompensa dei mancati introiti coi costi aggiuntivi ?), agli interventi sul rimborso delle assicurazioni, a quelli sul reintegro dei mutui, fino alle procedure per iniziare un’attività imprenditoriale in un sol giorno (c’era al riguardo una proposta di legge di Daniele Capezzone che avevo firmato anch’io, ma si è preferito agire con decreto governativo per arrogarsi un merito, sperando che nessuno chieda i diritti d’autore), all’eliminazione dei vincoli sulle professioni di panificatori, estetisti, acconciatori, guide turistiche, alle licenze delle autoscuole. Bene, signor ministro, se tutto questo produrrà benefici per il cittadino cosiddetto consumatore (preferirei chiamarlo cittadino e basta). Mi chiedo ovviamente, però, perchè con tali categorie non si sono avviati contatti e promosso confronti, quasi considerandole come la parte parassita della nostra società, responsabile dell’aumento di prezzi e tariffe. Ma sarebbe davvero molto grave una concezione del genere della società italiana.

Quel che invece non condivido è, almeno nel metodo, l’inserimento dell’articolo 12 sulla revoca di alcune concessioni alla Tav per la realizzazione di alcune direttrici ferroviarie che ancora languono. Concordo sulla necessità di intervenire, ma non capisco cosa c’entri questo con un decreto simile. Intanto prendo atto che la Tav figura tra le priorità del governo. L’ho notato leggendo il programmino dei dodici punti, perchè dal programmone delle 250 cartelle non mi era affatto chiaro. E penso anche che qualcuno dovrà pur spiegarci perchè i costi della realizzazione di ferrovie sono in Italia di gran lunga i più alti d’Europa e in continuo vertiginoso aumento. Sarebbe bene che su questo punto, oltre che sulla revoca di alcune concessioni, il governo potesse dare risposte convincenti.

Quel che pare invece inaccettabile non solo nel metodo ma anche nel merito è l’articolo 13 quello che interviene pesantemente sul testo della riforma Moratti. Ho più volte invitato il ministro Fioroni a venire in Commissione e poi in Aula a presentare come fece il ministro Moratti una sua riforma della scuola, cosa pienamente legittima se non si condivide il testo di quella precedente. Invece si continua a smontare la riforma pezzo su pezzo, con decisioni parziali e decreti. Prima con l’abolizione della figura del tutor poi con la sospensione della sperimentazione, adesso è la volta dell’abolizione del liceo economico e tecnologico e del ritorno alla vecchia formazione professionale. Per di più, sotto il nome di formazione tecnico-professionale, si espropriano le regioni di competenze tradizionali accentrandole in nuovi poteri centrali.

Avevo anche pensato ad un voto di astensione perché alcune parti del provvedimento noi le condividiamo, ma proprio questo articolo 13 ce lo impedisce. Voteremo dunque contro senza ostilità e senza preconcetti, ma invitando il governo a provvedere in seguito senza lenzuolate e soprattutto senza lenzuolate a pois. E senza federe, panni e pannicelli aggiunti con propositi non certo coerenti con le prerogative fissate dal titolo di questa legge.