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Mamma, voglio fare il vice sindaco

C’era una volta la carica di vice sindaco di Reggio. Era una poltrona ambìta da coloro, erano generalmente socialisti, che potevano contare su una discreta esperienza amministrativa, che avevano alle spalle un curriculum politico di tutto rispetto, che potevano reggere un peso tutt’altro che lieve e magari conciliarlo col loro lavoro. Si trattava dell’incarico amministrativo più prestigioso della città, dopo quello di sindaco, appannaggio però del Pci. Vice sindaco di Reggio è stato Piero Marani, avvocato, senatore reggiano, segretario del Psi provinciale, uomo di cultura (fu anche assessore alla cultura del Comune di Reggio), lo è stato l’avvocato Angelo Pisi, per anni consigliere comunale e dirigente del Psi, di solida esperienza. Gli succedette Ivan Medici, avvocato anche lui, già vice sindaco di Scandiano, co-segretario del Psu (Partito socialista unificato) alla fine degli anni sessanta. Lo sono stato, sia pur un breve periodo, anch’io, dopo aver svolto l’incarico di capogruppo consigliare per dodici anni e dopo essere stato per dieci anni segretario provinciale del Psi. Adesso tutto è cambiato. Nell’Italia dei valori l’incarico di vice sindaco è stato considerato come un posto in banca. Le donne dell’Idv sono entrate in fibrillazione perchè lo reclamavano ognuna per sè. E siccome è prevalsa questa idea che donna dovesse essere per forza, tre di loro si sono anche polticamente azzuffate, una accusando il suo partito e sbattendogli la porta in faccia e un’altra addirittura accennando a una foto galeotta scattata in discoteca con seno debordante, anche se coperto, che avrebbe impedito la nomina. Di Pietro anche bacchettone? D’accordo, siamo nell’epoca del velinismo imperante e Berlusconi ha iniziato lui a concepire parlamentari alla stregua di candidate a concorsi di bellezza e presentatrici televisive come ministri. Ma forse questa assurda pratica, che prescinde assolutamente dal merito e dall’esperienza, è la conseguenza dell’eliminazione dei partiti tradizionali, che erano vere e proprie fucine di quadri anche per le amministrazioni e per le istituzioni repubblicane. Il fatto che per fare l’assessore e il vice sindaco si dovesse prima essere eletti consiglieri comunali e che per fare il parlamentare occorressero molte preferenze in più provincie, non era certo elemento secondario. Lungi da me dunque mettere sotto processo le tre grazie dell’Idv che volevano fare il vice sindaco (alla vincente tanti sinceri auguri di buon lavoro) e che perseguivano questo obiettivo come un dono meritato. Questo discorso vale per tutti, anche per il mio partito, che ha eletto nel listino bloccato di Errani una giovane donna, priva di esperienza politica. Con una differenza, però. Un conto è esere eletti consiglieri comunali, provinciali e regionali, altro conto è assurgere al secondo gradino di un’amministrazione, ritenendolo un obbligo. Mi stupisco che nessuna delle candidate abbia avuto un men che minimo dubbio, un sussulto e un’emozione forte al solo pensiero di vedersi candidata a scalare improvvisamente una così elevata vetta. Almeno la stessa emozione che avvertirono, invece, le persone di ben altra esperienza prima richiamate. I tempi sono cambiati. Qualche anno fa, appena iscritti a un partito, si chiedeva la possibilità di entrare (ma non era facile) nel direttivo della propria sezione, adesso invece se non si è nominati vice sindaco si cambia partito, offesi o si accenna a trappole di dubbio gusto e dal sapore vagamente moralistico, tipico dei partiti monocratici. Che si sia sbagliato qualcosa nel concepire la politica di oggi? La domanda è volutamente retorica…