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Undici anni dopo

Ho vissuto per intero la fase craxiana del Psi. Ero presente al Midas nel luglio del 1976, come rappresentante della Fgsi nel Comitato centrale per la corrente autonomista. Ho vissuto quei giorni caldi, presieduti da Pietro Nenni, che si conclusero con la designazione di Craxi alla segreteria, dopo l’insuccesso del Psi di De Martino alle elezioni del mese prima. Si determinò un accordo coi giovani della sinistra lombardiana (Signorile, Cicchitto, De Michelis), ma soprattutto con Manca e Mancini, che lo preferirono all’altro candidato e cioè Antonio Giolitti. Manca e Mancini pensavano però che Craxi, essendo a capo di una corrente con circa il 15% dei voti, sarebbe stato solo un segretario di transizione, tanto che l’anno dopo misero in moto la famosa “intentona” e al congresso di Torino si schierarono con De Martino su un’altra posizione politica rispetto a quella di Craxi-Signorile. Nel gennaio del 1977 venni eletto segretario provinciale del Psi (nel 1975 ero stato eletto consigliere comunale di Reggio Emilia a soli 24 anni) e da allora ho avuto modo di sviluppare con Craxi rapporti intensi, anche sul piano personale. In fondo ero uno dei pochi giovani schierati sulle sue posizioni (La Ganga era con Manca, Di Donato con Mancini, Piro con Signorile, eccetera). Anche per questo egli accettò di venire subito a Reggio Emilia per un comizio che si svolse nella cornice meravigliosa del teatro Municipale. Era il febbraio del 1977 e l’affare Lookeed aveva turbato i miltanti. Craxi disse, a proposito della mancata adesione del Psi alla raccolta di firme promossa dal Pci per mettere sotto accusa (oltre a Gui e a Tanassi) anche Rumor: “Sono contrario ai processi politici”. Craxi tornò a Reggio nel 1978 dopo l’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica e i socialisti accorsero da ogni parte del Nord e lo accolsero all’ex Caserma Zucchi dove si concludeva la festa dell’Avanti. E ritornò l’anno dopo in occasione delle elezioni politiche ed europee in piazza Prampolini. Era il primo Craxi, autonomista, movimentista, revisionista (quello del saggio su Proudhon e del gruppo di Mondoperaio), dell’eurosocialismo alla Mitterand, Gonzales e Soares. Poi arrivò il Craxi statista, il presidente del Consiglio della lotta vittoriosa alla inflazione, della scala mobile, della revisione del Concordato, di Sigonella. E arrivarono i successi elettorali del 1987, del 1989 e del 1990. E infine gli anni della stagnazione. Dopo la caduta del muro di Berlino anch’io, come Claudio Martelli e pochi altri, pensavo che si dovesse davvero investire sull’unità socialista e che occorresse consentire all’ex Pci di scegliere tra l’isolamento e la ricongiunzione al vecchio tronco socialista. Che si dovesse trasformare una grande vittoria storica, quella dell’89, in una grande vittoria politica. E invece si cincischiò e quella mancata scelta ci costò caro. Arrivarono l’insuccesso alle elezioni del 1992 e poi il buio periodo di Tangentopoli. E agli errori (compresi quelli relativi a disinvolti comportamenti di parte dei nostri compagni) si sommarono una vile persecuzione giudiziaria, l’esilio tunisino e la diaspora socialista. Che fare oggi per i nostri valori, per la nostra storia, per un’identità che nessuno ha saputo assumere? Tenere ancora duro e lavorare perchè anche in Italia si passi ad un sistema europeo e ad un partito popolare al quale si contrapponga un partito socialista, sia pur con anime e tendenze diverse. Non ci siamo poi così lontani.