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Le dieci cose da fare per il Psi

Le metto nell’ordine. 1) Smetterla di pensare a golpe interni, a ribaltamenti di maggioranze e di gruppi dirigenti. I gruppi dirigenti li elegge il congresso e questi devono valere da un congresso all’altro. Dunque solidarietà e anche, se si può, amicizia tra di noi. Non vorrei essere trascinato in una visione moralistica che non mi appartiene. Potremmo anche fare un giuramento (di Pontida?) in base al quale qualora le ambizioni elettorali di ciascuno non dovessero essere soddisfatte nessuno ammainerà per questo bandiera. Oggi tutti direbbero di sì. Succederà?  2) Il congresso di Perugia ha parlato di socialismo liberale (molti passaggi li ho scritti io stesso). Dunque sul piano identitario noi siamo “socialisti liberali”, cioè non avversi alle liberalizzazioni, non ideologicamente fermi all’idea della superiorità del pubblico. Lo dico in generale, in riferimento alle posizioni che dovremmo assumere e anche a quelle che, a mio avviso sbagliando (vedasi referendum sull’acqua), abbiamo assunto. Il socialismo liberale, ad esempio, si rapporta molto di più alle intuizioni che dagli anni ottanta il Psi ha avviato (e che in Europa sono state fatte proprie da Tony Blair) che non alle vecchie e tradizionali posizioni del socialismo italiano ed europeo. Psi e Dc dialogavano sul pluralismo scolastico, Boselli diceva invece “più scuola pubblica”. Che è già il 95%. Non è la stessa cosa. 3) Al congresso di Perugia abbiamo proposto un’alleanza da Bersani a Casini. E personalmente non mi sono mai discostato da questa impostazione. Anche perchè Vendola e il Di Pietro non ancora uscito dall’ultimo campo di rieducazione possono essere utili per vincere, ma sono certamente dannosi per governare. Qui io la penso esattamente come Casini. In Italia il problema non è vincere le elezioni (le opposizioni le hanno sempre vinte dal 1994), ma governare il Paese. E per questo serve una maggioranza coesa, un programma condiviso e un leader capace di parlare anche alla destra. Le elezioni politiche non sono nè le regionali pugliesi, nè le comunali di Milano e Napoli (faccio un’eccezione per Pisapia che giudico un liberale di sinistra e che ha capito che era meglio coprirsi con Tabacci piuttosto che esporsi con Vendola). 4) Il governo Berlusconi oggi è un danno per l’Italia. E non serve solo evocare elezioni che non arriveranno. Personalmente, peraltro, penso che le manovre di contenimento (40 miliardi quasi tutti concentrati nell’ultimo anno) e una crescita dell’1% impongano da subito uno sforzo di solidarietà nazionale. Questo Paese non uscirà dai suoi guai con la tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra. Penso che faremmo bene, per quel che contiamo, a dire che serve subito un governo di unità nazionale. E secondo me servirebbe anche dopo le elezioni. 5) Se siamo socialisti liberali, ma anche socialisti riformisti, dobbiamo avere bene in testa che il problema di fondo (la grande ingiustizia del ventunesimo secolo) è quella della disoccupazione e del disagio giovanile. A questo tutto va subordinato. Altro che Fiom coi suoi diritti. Il primo diritto è quello al lavoro e il primo diritto al lavoro è quello per i giovani. Senza questo non c’è futuro nel nostro paese. E oggi l’Italia conta purtroppo un record negativo. Sprecare 10 miliardi di euro per eliminare il cosiddetto scalone pensionistico e non dare quei 10 miliardi ai giovani per gli ammortizzatori sociali è stata una delle scelte più ingiuste e meno socialistiche che io ricordi. Quel che servirebbe è un patto tra le generazioni (anche di questo parlò il vecchio Psi negli anni ottanta). E’ assurdo che i vecchi mantengano i giovani. E’ una società all’incontrario quella che abbiamo creato. E non sono estranee a questa situazione le corporazioni, anche quelle sindacali, che pensano solo ai loro iscritti (i disoccupati non sono sindacalizzati e lo sono poco i precari). Un socialismo moderno fa di questo la sua battaglia di fondo. Altro che Pomigliano e Mirafiori. Su questo problema sarei dalla parte della Uil e della Cisl, di Ichino e del professor Tiraboschi. 6) Quello che ci separa dall’estrema sinistra non è l’ideologia e nemmeno un pregiudizio anacronistico sul passato delle persone. Sono i programmi. Esempio concreto. Noi siamo per la Tav, loro no, noi siamo per osservare le disposizioni dell’Onu rispetto alla Libia loro no, noi siamo stati per il sì a Pomigliano e Mirafiori loro per il no. Come è possibile governare insieme? 7) La verità è che la crisi di tutto (cioè la crisi che dal 1994 attanaglia il Paese, dovuta alla mancata crescita, all’indebitamento superiore, al contenimento dei consumi) è dovuta in massima parte al sistema politico italiano. Cioè a un bipolarismo che è la causa della mancanza di governabilità. Il bipolarismo produce solo la volontà di vincere, ma non la sufficiente omogeneità per governare. Tutti i governi italiani sono stati messi in minoranza alle elezioni successive. E tutti i governi italiani (di destra e di sinistra) hanno perfino faticato a condurre a termine le legislature e quando queste non si sono interrotte si sono interrotti e poi succeduti governi diversi. Il nostro nemico (perchè è nemico delle identità politiche e dunque anche della rinascita del movimento socialista italiano) è il nemico dell’Italia: il bipolarismo. 8) Non accodarsi, ma distinguersi: questa deve essere la nostra parola d’ordine. Ho sentito troppo spesso in questo periodo: “C’è un movimento no Tav, c’è un movimento anti nucleare, c’è un movimento anti privatizzazione delle acque. Noi dobbiamo stare al loro fianco”. Non ci guadagneremmo nè un voto nè una ragione postuma. Io mi manterrei dalla parte delle nostre buone ragioni di socialisti liberali e riformisti, che non scambiano mai l’ideologia con la ricerca scientifica, in una sorta di processo che ricorda in taluni eccessi il medioevo. No al nucleare insicuro sì al nucleare sicuro, no alla Tav se è uno spreco sì alla Tav se (come è) una grande opportunità, no alla speculazione privata sull’acqua, sì all’intervento privato sull’acqua (che non può essere in perdita) per riammodernare il sistema idrico. Son tutte cose che dovrebbero far parte del nostro bagaglio culturale. E sono tutte ancora validissime, se non sbandassimo di tanto in tanto in nuove, vecchie infatuazioni. Io, ad esempio, vedo il rischio di tre nuovi estremismi ideologici. Quello ambientalista (no agli ogm, alle nanotecnologie, alla tav, al nucleare, no a tutto), quello sindacal-fiomista (no agli accordi, no al dialogo con Cisl e Uil, perfino no alla Cgil se gli accordi li fa, no a Pomigliano e a Mirafiori, insomma no a tutto) e infine un estremismo ideologico pan moralista (Berlusconi ha le donne, Mitterand aveva due famiglie, Kennedy un casino di amanti, Strauss Khan è certamente colpevole prima del processo). Oggi il privato è pubblico. La politica vien vista dal buco della serratura in linea col gossip mediatico. La crisi di Berlusconi e del berlusconismo è politica ed è a un tempo l’incapacità di governare e riformare il paese e di costruire una forza politica in cui, lì sì, non si mischi privato e politico. Kennedy e Mitterand non hanno mai scambiato sesso e politica. Direi per questo sì alla legge sulle intercettazioni anche nel dispositivo Mastella 9) Come conciliare ritorno in Parlamento e continuità socialista? Questo il problema che dovrebbe assillarci oggi e da qui alle prossime elezioni. Se la legge elettorale, come credo, non cambierà, allora abbiamo tre possibilità concrete: presentare una lista coi radicali nella coalizione di sinistra o di centro-sinistra. Una sorta di riedizione della Rosa nel pugno: ci assicurerebbe di superare il 2% o di essere la prima lista sotto il 2%. Non sarebbe certo in confitto con la nostra identità recente e passata. Vedo tutti gli ostacoli, e innanzitutto la disponibilità pannellian-boniniana. Ma ce ne uno che dipende anche da noi. Siamo disponibili a concordare coi radicali una serie di battaglie politiche da qui alle elezioni? La seconda è una lista con Api e Mpa nel centro di Casini. Dal punto di vista della riuscita non ci sarebbero dubbi. Più dubbi ci potrebbero essere sul piano del rispetto identitario. Ma una forza laica può sempre allearsi con una forza cattolica (vedasi Dc-Psi o no?). La terza possibilità è un ingresso diretto nelle liste del Pd, che presenterà il suo simbolo e non quello dell’Ulivo. Sul piano pratico potrebbe dare qualche (limitato) risultato, sul piano politico metterebbe a serio rischio la nostra relativa autonomia e la nostra continuità. La presentazione di una semplice lista socialista anche in coalizione non garantisce purtroppo il risultato del ritorno dei socialisti in Parlamento per le tecniche della legge elettorale. Se abbiamo bene in testa questa triplice possibilità dobbiamo mettere da subito in movimento dialoghi, incontri, tessiture, se no siamo fuori. Da subito, perchè non c’è tempo da perdere 10).Io recupererei il socialismo garibaldino che ci aveva contraddistinto nella prima fase della segreteria Nencini. Vedasi la lotte e i sit-in sulla democrazia e la laicità. Non occorre essere migliaia per ritornare nelle piazze e nelle strade, con cartelli e slogan. Senza scimiottare quelli degli altri anche perchè se no non ci distinguerebbe proprio nessuno. Per riprendere voce e ascolto è indispensabile una ristrutturazione della segreteria che è troppo vasta o la nomina di un esecutivo ristretto con impegni precisi di lavoro. Da qui alle elezioni. Per lavorare insieme. Per tentare di rinascere insieme. Uno sforzo congiunto che associ le migliori energie di questo nostro piccolo ma tutt’altro che inutile partito.