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Con Bonafini se ne va un pezzo di Reggio

E’ morto Umberto Bonafini. Si sapeva che non avrebbe potuto campare a lungo, minato com’era da un male tremendo. Eppure la notizia della sua scomparsa mi lascia una forte emozione ed un vuoto profondo. Una montagna di ricordi mi accomunano a lui, da quando nel 1981 egli si trasferì a Reggio a dirigere il nuovo quotidiano la “Gazzetta di Reggio”, che riuscì a lanciare facendola divenire il primo quotidiano locale. Un capolavoro che a lui si deve e al quale non credeva quasi nessuno. Bonafini, guastallese d’origine, mantovano d’adozione e reggiano trapiantato, seppe origliare la città, annusarla nei suoi anfratti, frequentarla quotidianamente nelle vie, nelle piazze e nei bar, assecondandone gli umori e a volte irridendoli col suo guastallese stretto e inimitabile, che ti portava sempre alla risata grassa e qualche volta perfino alla sua imitazione inconsapevole. Personaggio unico, da commedia dell’arte, era dotato di forte carica ironica e di gusto del paradosso. Ma era anche personaggio assolutamente colto e preparato, soprattuttto nel campo della storia locale e della musica lirica. Aveva contribuito a scrivere “Emozioni padane” nel 1990 dedicato alla sua Guastalla, per la quale aveva scritto, nel 1963, “Pittori di casa nostra”, mentre a Mantova aveva dato alle stampe, nel 1970, “In piazza Sordello con papà” e l’anno dopo “Quadermo salisburghese”. Non è cancellabile il contributo, che fu determinante, per ricordare a Reggio il cinquantesimo anniversario del debutto di Ferruccio Tagliavini al quale Bonafini era legato da amicizia. A lui si deve il meraviglioso spettacolo allestito al Municipale Valli e la pubblicazione del volume “Ferruccio Tagliavini: l’uomo, la voce” (Reggio Emilia 1988). Aveva già scritto altri libri su cantanti lirici, tra i quali uno famoso “Perchè sono Renata Scotto” (Mantova 1975), mentre aveva dedicato un libro anche al grande maestro “Herbert Von Karajan” (Mantova 1978). Con Sandro Bellei scrisse poi “Reggio a tavola” (Finale Emilia 1985) e con Giuliano Bagnoli “La tradizione popolare reggiana” (Finale E. 1995). Era critico sempre appassionato e competente delle nostre stagioni teatrali. Per un periodo era stato anche membro del consiglio di amministrazione del teatro Comunale di Bologna e poi di quello dei Teatri di Reggio. Competente e critico, per la verità, anche lì. Quando durante un’opera volevi ascoltare un commento adeguato, e sempre condito con le sue battute irresistibili in dialetto guastallese, cercavi lui nell’atrio del teatro e non rimanevi mai deluso. Dopo aver lasciato la Gazzetta era passato a “Il Giornale di Reggio” del quale per un periodo era anche divenuto direttore. Nel frattempo aveva registrato alcune trasmissioni di musica lirica e classica con Teletricolore e con me aveva presentato “La grande corsa”, dedicata alle elezioni del 2004. Con la politica e i politici reggiani ha avuto sempre rapporti liberi e spesso conflittuali, a volte perfino viscerali, com’era il suo carattere. Non era certamente un giornalista che te la faceva passare. Così capitava spesso anche di litigarci. Ma per qualche ora e senza che lui ne facesse mai motivo di un risentimento. Dopo il litigio scaturiva magari un’intervista. Umberto era fatto così. Libero di dire e di fare quel che ne aveva voglia e di frequentare, più volentieri di tanti salotti, quel caffè di piazza del Monte dove ogni giorno si sedeva e dove i suoi amici (quelli veri) oggi lo piangono senza poterlo più incontrare.