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Da Monti al futuro

Occorre distinguere. E’ vero che la finanza europea condiziona, anzi determina, ormai, la politica. Ma questo avviene non per colpa dei cosiddetti poteri forti (i mercati finanziari, la Bce, l’asse franco-tedesco), ma per responsabilità dei poteri deboli (in primis della politica, che attraversa ormai, non solo in Italia, un crescente processo di logoramento e di delegittimazione). Se la politica volesse assumere un ruolo autorevole, e condizionante i processi finanziari, dovrebbe innanzitutto porsi il problema di guardare oltre i singoli interessi nazionali (che peraltro oggi non sono più difendibili se non in una cornice più ampia) e costruire l’Europa politica. Fino ad oggi si è costituita solo l’Europa monetaria e dunque si è attribuito di fatto alla Bce anche il potere di condizionare e di orientare i processi politici. Difficile sostenere fosse giusto fare l’Europa dell’euro senza edificare il governo europeo dell’economia e della finanza. Questo però è avvenuto. La commissione europea è senza reali poteri ed è solo l’espressione di una somma di diverse nazionalità. Senza l’Europa politica a dettare le regole è ovvio che sia l’Europa monetaria. Perchè e di cosa stupirsi e scandalizzarsi? Ora che la Bce, e con essa l’asse franco-tedesco, ha deciso il governo della Grecia, sfornando non solo il suo programma, ma anche scegliendo la sua composizione e il nome del nuovo presidente del Consiglio, essa ha anche fortemente condizionato la situazione italiana fornendo, con la sua lettera, precise indicazioni sui singoli orientamenti da assumere e adesso sollecitando anche una soluzione politica alla crisi di governo. E’ scandaloso? E che doveva fare per assicurare un appoggio e per garantire la saldezza dell’euro?  Due ora le possibilità. O accettare la nuova situazione e prendere tempo per riassestare la crisi economica e finanziaria del nostro Paese o contestarla (senza reali alternative però), sfidando il rischio, pressochè certo, di finire verso il baratro, come i segnali del giorno più nero della nostra economia, il day after dell’annuncio di dimissioni di Berlusconi, avevano chiaramente fatto intendere. Avremo tutto il tempo di riflettere e di progettare il nostro futuro. Ma bisogna avere un futuro. Avremo tutto il tempo di individuare le responsabilità presenti e passate (sì, anche quelle del passato remoto perchè il nostro debito pubblico, anche a causa di una crescita pressocchè inesistente, è fortemente cresciuto negli anni della cosiddetta seconda repubblica). Ma bisogna avere il tempo di riflettere. Ecco perchè nell’alternativa tra il governo Monti e il caos (per dirla con le parole di Nenni riferite però alla Repubblica e non al commissario della Ue) preferisco Monti. Questo è il tempo, ce lo ha ripetuto Napolitano, della condivisione e dell’emergenza. Anzi è il tempo della condivisione perchè esiste un’emergenza. Solo i fanatici, gli irresponsabili, i negatori del vero e del buonsenso, solo i farneticatori di un’ideologia del celodurismo e del manettismo, solo coloro che pensano più al loro piccolo interesse che a quello del nostro Paese possono negare l’esistenza di un’emergenza e di un rischio. Ma siamo abituati, nel teatrino politico italiano, a questa rincorsa verso il purismo che altro non è che una affermazione d’irresponsabilità. Dobbiamo stare col presidente della Repubblica che pure ha allargato chiaramente i suoi poteri per inserirsi a gamba tesa nella soluzione della crisi di governo. Gamba tesa necessaria e doverosa perché sarebbe stato assai peggio che il Quirinale avesse assistito inerme e passivo allo scivolamento dell’Italia verso il baratro del fallimento. Il governo Monti si farà e il Pdl dovrà accettarlo (poi si potranno anche verificare dissociazioni clamorose al suo interno, che sarebbero però anche maggiori in caso di assunzione di un’opposta posizione). La Lega preferirà il suo più “opportuno” isolamento e Di Pietro forse anche, o forse no, dipende dai giorni. Ma le grandi forze politiche italiane, e in particolare Pd, Pdl e Udc, dovranno rendersi conto che è il momento di unirsi per salvare l’Italia. E per dare all’Italia una prospettiva. Anche quella di una diversa politica economica e finanziaria. Anche quella che tende a contestare i cosiddetti poteri forti, per affermare che la finanza non può decidere al posto della politica. Anche per contestare le assurde tentazioni di occupazione del suolo patrio da parte di Sarkozy e Merkel. In politica i tempi sono tutto. Se queste esigenze le volessimo affermare oggi saremmo soccombenti e non le potremmo affermare mai. Per questo occorre il tempo della condivisione. Poi tornerà quello del confronto, dello scontro e anche del conflitto politico e ideologico, se ancora esiste. E credo in fondo che questa fase di condivisione sia opportuna anche per decifrarlo. Perché alla luce dei nuovi fenomeni finanziari e del prevalere della finanza sulla politica, dei giochi dei mercati contro gli interessi dei paesi, occorra sviluppare anche una nuova teoria sociale. Forse un moderno socialismo liberale, più che un ritorno all’ortodossia socialista e anche marxista, cioè una specie di revival del passato con gli sconfitti di ieri e di oggi che rimbalzano ancora e prepotentemente sulla scena. No. Credo che non serva il passato per delineare il futuro. Occorre uno sforzo nuovo di ragionamento e di proposta. Tremonti ne aveva abbozzato uno (anche se le sue conclusioni del “Dio, patria e famiglia”, mi sono apparse davvero forzate), Pietro Ichino in materia di mercato del lavoro ne ha proposto un’altra e nemmeno alternativa. I socialisti europei hanno avanzato l’idea di tassare le transazioni finanziarie, di abbinare sempre ai piani di rigore quelli di crescita, di tassare i patrimoni. La sinistra italiana, o il centro-sinistra se si preferisce, deve evitare di scadere nel passatismo e nell’ortodossia, ma anche nell’indifferenza al progetto di società futura, nel mediocre empirismo, oltretutto dopo che l’unica ideologia che ha saputo elaborare, quella dell’antiberlusconismo, è uscita di scena. Ma tutto questo non può prescindere dall’emergenza. Chi nell’emergenza pensa solo al futuro e non guarda al presente, finisce per distruggere il futuro, perché ne mina le fondamenta. E’ una regola implacabile del tempo da applicare alla politica, sempre.